Anthropic vince il primo round nella battaglia sul copyright contro le case discografiche

In un’aula di tribunale californiana, la lotta tra l’intelligenza artificiale e i detentori dei diritti d’autore ha segnato un punto a favore di Anthropic, startup di spicco nel campo dell’AI. Una corte distrettuale ha respinto la richiesta delle case discografiche di imporre un’ingiunzione preliminare che avrebbe bloccato l’uso di testi di canzoni protetti da copyright come dati di addestramento per il chatbot Claude. Una vittoria iniziale per Anthropic, che però lascia aperte molte domande sul futuro dell’AI e del diritto d’autore.
Il contesto: AI contro copyright
Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante, soprattutto grazie ai grandi modelli linguistici come Claude, che si nutrono di enormi quantità di dati testuali per “imparare” a rispondere in modo naturale. Ma non tutti sono entusiasti di questo progresso: fotografi, artisti, giornalisti e, in questo caso, editori musicali hanno alzato la voce, accusando le aziende tech di usare le loro opere senza permesso. Le case discografiche, tra cui Concord e Universal, hanno trascinato Anthropic in tribunale lo scorso autunno, denunciando una “violazione sistematica e diffusa” dei loro testi. Con centinaia di opere in gioco, il conto dei danni potenziali potrebbe raggiungere milioni di dollari.
Le accuse sono pesanti: i publisher sostengono che Anthropic abbia usato i testi senza autorizzazione per addestrare Claude e che il chatbot, se sollecitato, possa persino riprodurre versi di canzoni protette. Hanno portato esempi concreti in aula, mostrando come Claude abbia restituito testi riconoscibili. La loro richiesta? Un ordine del tribunale per fermare l’uso dei testi, sia come input di addestramento sia come output generato.
La difesa di Anthropic: fair use e “bug”
Anthropic non ha negato del tutto l’uso dei testi per l’addestramento, ma ha ribattuto che si tratta di una pratica coperta dal principio del fair use negli Stati Uniti: i dati pubblici online, sostengono, sono un terreno libero per l’innovazione. Quanto alla riproduzione dei testi, l’azienda si è difesa dicendo che non era intenzionale. “Claude non è progettato per sputare fuori testi di canzoni,” hanno dichiarato. “Se lo ha fatto, è stato un errore, un ‘bug’, non una caratteristica del sistema.” Per dimostrarlo, hanno sottolineato di aver già implementato guardrail per limitare queste uscite indesiderate – misure che, a loro dire, risolvono il problema dell’output, lasciando però aperta la questione dell’input.
Le case discografiche non si sono arrese facilmente. Con il supporto della RIAA (Recording Industry Association of America), hanno paragonato la difesa di Anthropic a quella di servizi “pirata” del passato, come Napster, che invocavano l’innovazione per giustificare violazioni poi giudicate illegali dai tribunali.

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La decisione della corte
Dopo aver ascoltato entrambe le parti, la giudice Eumi K. Lee del Distretto della California ha preso una decisione netta: niente ingiunzione preliminare. Nel suo ordine, ha spiegato che un intervento di questo tipo è una “misura straordinaria” che richiede prove di un danno immediato e irreparabile – prove che i publisher non sono riusciti a fornire in modo convincente. “Le dichiarazioni presentate non dimostrano come l’uso dei testi da parte di Anthropic per addestrare Claude abbia danneggiato la capacità delle case discografiche di negoziare licenze con altri sviluppatori di AI o come possa colpire il nascente mercato delle licenze,” ha scritto la giudice.
Inoltre, la corte ha sollevato dubbi sulla portata della richiesta: quali testi sarebbero coperti? Solo quelli attuali o anche quelli futuri, ancora da scrivere? Anthropic aveva lamentato che un’ingiunzione così vaga sarebbe stata “praticamente impossibile” da rispettare, e la giudice Lee ha concordato, definendo il campo d’azione “enorme e in continua espansione”.
Anche se i publisher avessero dimostrato un danno, ha aggiunto la corte, questo non sarebbe necessariamente “irreparabile”. Un risarcimento economico potrebbe bastare a sanare la questione, rendendo superflua un’azione drastica come l’ingiunzione a questo stadio.
Cosa significa per il futuro
Con l’ingiunzione respinta, Anthropic può continuare a usare i dati di addestramento senza restrizioni immediate, ma la partita è tutt’altro che chiusa. Il caso ora procede verso una fase più approfondita, dove si deciderà se l’uso dei testi da parte dell’AI violi davvero il copyright o rientri nel fair use. La questione centrale – fino a che punto le aziende di AI possano attingere a materiali protetti senza permesso – rimane irrisolta, con implicazioni che potrebbero ridisegnare i confini tra innovazione tecnologica e diritto d’autore.
Per ora, Anthropic festeggia una vittoria parziale, mentre le case discografiche affinano le armi per il prossimo round. In un mondo dove i dati sono il nuovo petrolio, questa battaglia è solo l’inizio di una guerra più grande.
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