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Google applica i blocchi DNS contro la pirateria: ma lo fa a metà

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Lo avevamo previsto. Ora è ufficiale: anche Google applica i blocchi DNS richiesti da Piracy Shield. L’azienda di Mountain View ha infatti iniziato a inserire nei suoi server DNS pubblici (gli ormai noti 8.8.8.8 e 8.8.4.4) le limitazioni ordinate dalla legge antipirateria n. 93/2023, recependo l’ordinanza del Tribunale di Milano dell’11 marzo scorso, emessa nell’ambito di un procedimento promosso dalla Lega Calcio contro Google e Cloudflare.

Un dietrofront silenzioso e parziale, arrivato dopo che Cloudflare ha scelto la via opposta, impugnando l’ordine e alzando le barricate legali. Google, invece, ha deciso di collaborare. Ma c’è un dettaglio che cambia tutto: i blocchi sono solo una minima parte rispetto a quelli effettivamente richiesti da Piracy Shield.

Solo 1.000 blocchi su 20.000: Google sperimenta

Per capire davvero cosa stesse facendo Google, abbiamo creato uno script personalizzato che interroga i DNS di Google e Cloudflare in parallelo. Su oltre 20.000 ticket presenti nel database di Piracy Shield, solo un migliaio risultano effettivamente bloccati tramite i DNS di Google.

Non c’è un criterio chiaro: i blocchi sembrano casuali o selettivi, forse applicati a campione per testare la tenuta tecnica o per rispondere in modo parziale alla richiesta delle autorità. Gli operatori italiani, al contrario, sono stati obbligati a recepire l’intero elenco dei blocchi, senza possibilità di scelta.

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Tutto in attesa della Serie A?

Questa mossa di Google sembra far parte di una sperimentazione controllata, probabilmente in vista della ripresa dei campionati di Serie A. Il vero banco di prova arriverà dopo l’estate, quando il calcio tornerà al centro dell’attenzione e l’impatto della pirateria sarà di nuovo massiccio.

Nel frattempo, il blocco selettivo non cambia gli equilibri: chi sa cambiare i DNS ha già gli strumenti per bypassare le restrizioni. Se Google blocca, basta passare a Cloudflare (1.1.1.1), OpenDNS o DNS.WATCH, che non applicano alcun filtro. Ma se anche questi provider decidessero di piegarsi, allora lo scenario potrebbe cambiare radicalmente.

Cloudflare resiste, ma per quanto?

Il nodo vero ora è Cloudflare. Il precedente di Google, che ha obbedito all’ordinanza del Tribunale, potrebbe essere usato come leva per mettere l’azienda americana con le spalle al muro. Se anche Cloudflare dovesse mollare, i DNS alternativi diventerebbero un’anomalia sempre più difficile da giustificare, almeno per le autorità.

Ma il problema resta: bloccare i DNS è efficace solo a metà. È un deterrente per l’utente medio, ma non ferma la pirateria organizzata, che continuerà ad aggirare ogni barriera con pochi clic.

Conclusione:
Il passo indietro di Google segna un punto a favore della Lega Calcio e di AGCOM, ma il sistema dei blocchi DNS resta fragile e aggirabile. Finché la rete offrirà scappatoie facili, la vera lotta alla pirateria si giocherà sul piano tecnologico e non giuridico. E oggi, quella partita è ancora tutta aperta.

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