Google Calendar rimuove le celebrazioni Pride e Black History Month

In una mossa che potrebbe segnalare un cambiamento culturale più ampio, Google Calendar ha deciso di rimuovere dalla sua piattaforma una serie di celebrazioni legate a temi di diversità, equità e inclusione (DEI), tra cui il Mese dell’Orgoglio, il Mese della Storia dei Neri e il Mese dei Popoli Indigeni. Questa decisione riflette una crescente resistenza verso quelle che alcuni critici definiscono agende culturali “woke”, accusate di essere eccessivamente invasive.
Con oltre 500 milioni di utenti in tutto il mondo, Google Calendar ora mostrerà solo feste pubbliche ufficiali e ricorrenze nazionali. Secondo l’azienda, questa scelta è stata necessaria per garantire coerenza e scalabilità a livello globale. Tuttavia, la decisione ha scatenato un acceso dibattito, con alcuni che vedono in essa un allineamento alle politiche dell’amministrazione Trump, nota per aver smantellato diverse iniziative DEI a livello federale.
Una scelta pratica o politica?
Google ha giustificato la decisione come una mossa pratica. Un portavoce dell’azienda ha spiegato che mantenere manualmente centinaia di celebrazioni in modo coerente a livello globale non era più sostenibile o scalabile. Per questo, l’azienda si affida ora a timeanddate.com, un sito norvegese che fornisce un elenco standardizzato di festività pubbliche. Gli utenti che desiderano celebrare eventi come il Pride Month o il Black History Month dovranno aggiungerli manualmente ai propri calendari.
Nonostante le motivazioni tecniche, molti critici hanno interpretato la decisione come un segno di allineamento alle politiche dell’amministrazione Trump, che ha ridimensionato diverse iniziative DEI. Altri, invece, hanno elogiato Google per aver evitato di promuovere quelle che considerano celebrazioni di nicchia o eccessivamente politicizzate, come l’International Pronoun Day o l’Intersex Awareness Day.

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Reazioni contrastanti
La decisione ha diviso l’opinione pubblica. Alcuni utenti hanno espresso indignazione, accusando Google di “capitolare al fascismo” o di essere “simpatizzante dei nazisti”. Altri, invece, hanno applaudito la mossa, vedendola come un ritorno al buon senso e una reazione a quella che percepiscono come un’eccessiva enfasi sulla politica identitaria.
Questa non è la prima volta che Google sembra allinearsi alle preferenze dell’amministrazione Trump. All’inizio dell’anno, l’azienda ha annunciato l’eliminazione degli obiettivi di assunzione basati sulla diversità, citando decisioni giudiziarie e ordini esecutivi del governo. Inoltre, ha apportato modifiche significative alla sua app Maps, tra cui la ridenominazione del Golfo del Messico in “Golfo d’America” e il ritorno al nome “Monte McKinley” per la vetta Denali in Alaska, entrambe scelte in linea con le preferenze di Trump.
Un cambiamento culturale più ampio?
La rimozione delle celebrazioni DEI da Google Calendar solleva interrogativi più ampi sulla direzione della cultura americana. Negli ultimi anni, molte aziende hanno abbracciato con entusiasmo iniziative legate alla diversità, spesso a scapito della praticità e del realismo. La decisione di Google potrebbe segnalare un cambiamento di rotta, con un maggiore focus sull’efficienza e una minore enfasi sulle agende culturali.
Per alcuni, questa mossa rappresenta un ritorno alla sanità mentale, un modo per concentrarsi su ciò che è veramente importante. Per altri, è un passo indietro rispetto ai progressi fatti in materia di inclusività e rappresentazione.
Conclusioni: un calendario come campo di battaglia culturale
La decisione di Google Calendar di rimuovere le celebrazioni DEI riflette un dibattito più ampio sul ruolo della politica identitaria nella società. In un’America sempre più divisa, persino un semplice calendario può diventare un campo di battaglia culturale.
Mentre alcuni vedono questa mossa come un rifiuto del “wokeismo”, altri la interpretano come un adattamento pragmatico a un panorama politico e sociale in evoluzione. Una cosa è certa: in un’epoca di polarizzazione, ogni scelta, anche apparentemente banale, può avere un significato profondo. Resta da vedere se questa decisione segnerà l’inizio di un cambiamento culturale duraturo o semplicemente un’altra tappa in un dibattito che continua a dividere.
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