LaLiga vince in tribunale: via libera al blocco di Cloudflare contro i pirati IPTV

Un giudice spagnolo ha messo un punto fermo nella battaglia tra LaLiga e la pirateria digitale, confermando il diritto della lega calcistica di bloccare gli indirizzi IP di Cloudflare per fermare i servizi IPTV illegali. La decisione, che respinge le proteste di Cloudflare e del gruppo di cybersecurity RootedCON, segna una vittoria per il calcio spagnolo, ma lascia aperti interrogativi sul destino degli utenti innocenti travolti dalla guerra al “pezzotto”.
LaLiga contro Cloudflare: una lotta senza quartiere
Tutto è iniziato quando LaLiga, decisa a stroncare la trasmissione pirata delle sue partite, ha ottenuto lo scorso dicembre un’ordinanza che le permetteva di bloccare gli IP usati da servizi IPTV illegali, anche se condivisi con utenti legittimi di Cloudflare. Il risultato? Migliaia di siti e servizi innocenti sono finiti offline in Spagna, scatenando un’ondata di critiche. Cloudflare ha accusato LaLiga di sapere fin dall’inizio che il blocco avrebbe causato danni collaterali, ma la lega ha ribattuto: “La responsabilità è di Cloudflare, che non ha collaborato”.
Sia Cloudflare che RootedCON hanno portato il caso davanti al Tribunale Commerciale n. 6 di Barcellona, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza. Le loro argomentazioni? Un ordine del genere, privo di tutele per i terzi, dovrebbe essere invalido, e LaLiga avrebbe dovuto coinvolgerli prima di agire. Ma il giudice non ha accolto le loro tesi, confermando la legalità dell’azione.
La sentenza: diritto d’autore sopra tutto
Nella sua decisione, il tribunale ha ribadito che l’ordinanza mira a proteggere i contenuti di LaLiga e Telefónica, trasmessi legalmente da Movistar Plus+. “La procedura è conforme alla legge sulla proprietà intellettuale e ai servizi della società dell’informazione”, ha dichiarato LaLiga in un comunicato trionfante. Il giudice ha aggiunto che non ci sono prove concrete di danni agli utenti, né richieste di indagine per dimostrarli. In altre parole: nessun danno, nessun problema.

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Questa posizione ha lasciato Cloudflare con l’amaro in bocca. “Siamo delusi”, ha replicato l’azienda. “Il tribunale non riconosce l’interferenza significativa ai nostri servizi e il danno a consumatori, siti e aziende innocenti”. Anche RootedCON non si arrende: “Il giudice ha ignorato le nostre richieste, permettendo a LaLiga di bloccare a piacimento IP e siti estranei alla pirateria. Continueremo a difendere i cittadini con ogni mezzo legale”.
Una vittoria con ombre
Per LaLiga, la sentenza è un successo nella sua crociata contro i pirati IPTV, che ogni weekend offrono illegalmente le partite a centinaia di migliaia di utenti spagnoli. Solo di recente, la lega ha annunciato di aver bloccato due servizi – DazcFutbolios e RBTV77 – che sfruttavano Cloudflare come “scudo digitale” per nascondere le loro attività. Ma il prezzo di questa guerra è alto: quando un IP di Cloudflare viene oscurato, non sono solo i pirati a sparire, ma anche chi non c’entra nulla.
Il tribunale ha sottolineato che i blocchi non sono “massivi né indiscriminati”, come sostenuto da LaLiga, ma mirati a IP specifici legati a servizi pirata. Eppure, le proteste di utenti e aziende colpite raccontano un’altra storia: intere porzioni di internet spagnolo vanno offline durante le partite, un disagio che alcuni hanno definito “una minaccia alla sicurezza nazionale”. Nonostante ciò, non si è visto alcun intervento governativo.
Il futuro: più battaglie in vista?
Cloudflare non sembra intenzionata a mollare. “Stiamo valutando i prossimi passi legali”, ha dichiarato, promettendo di lottare contro misure che “minacciano la libertà di internet”. La sentenza, teoricamente inappellabile, potrebbe comunque aprire la strada a nuove controversie, soprattutto se il danno collaterale continuerà a crescere. RootedCON, dal canto suo, si prepara a rilanciare la sfida, magari con strategie diverse.
Intanto, LaLiga festeggia una vittoria che rafforza il suo arsenale antipirateria. Ma mentre i pirati IPTV trovano sempre nuovi modi per aggirare i blocchi, il rischio è che a pagarne il prezzo siano gli utenti comuni, intrappolati in una battaglia tra titani digitali. La domanda resta aperta: fino a che punto il diritto d’autore può spingersi, prima che l’internet aperto diventi un ricordo?
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