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Leggende metropolitane e videogaming

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Coccodrilli nelle fogne, videocassette killer, autostoppisti fantasma: l’ecosistema dei protagonisti delle leggende metropolitane è estremamente variegato, raggruppando un insieme di storie e personaggi nelle quali chiunque, presto o tardi, si è imbattuto. Si chiamano metropolitane non perché contrapposte a ipotetiche leggende rurali, ma piuttosto per i loro caratteri di modernità: miti, storie e leggende tramandate oralmente e che trovano terreno fertile nelle poche pieghe di mistero che ancora rimangono nei tempi moderni. Mistero e modernità, dunque, sono gli elementi essenziali delle leggende metropolitane: diventa subito chiaro come queste abbiano potuto proliferare anche nel mondo del videogioco, sicuramente moderno e nel quale il mistero, anche solo come semplice funzionamento dei software, regna sovrano.

Una delle leggende metropolitane videoludiche più note richiama una leggenda reale, diffusa tra Canada e Stati Uniti già nelle tradizioni delle popolazioni autoctone: quella del Sasquatch o Bigfoot. Le regioni boschive sarebbero la casa di grandi esseri scimmieschi, ricoperti da una folta pelliccia e le cui tracce si limitavano spesso a grandi impronte impresse sul terreno. In molti casi, esattamente come per la vicenda delle teste di Modigliani, si scoprì che si trattava di elaborati scherzi: riguardo uno dei primi ritrovamenti di impronte, denunciato da un’impresa edile durante gli anni ’50, si scoprì che era stato proprio il titolare della stessa a imprimere le orme nel terreno tramite degli stampi.

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Ciononostante, la leggenda del Bigfoot continua a riscuotere successo ed è arrivata, negli anni 2000, fino a GTA San Andreas. Fra i più amati capitoli dell’iconica serie, l’ampissima mappa di gioco presentava abbondanti zone boschive e rurali: proprio in queste molti giocatori cominciarono a sostenere che, al verificarsi di determinate condizioni, potesse apparire un Bigfoot. La leggenda metropolitana fu presa sul serio da molti: diverse immagini catturate dal gameplay mostravano la creatura e, nonostante le smentite degli sviluppatori, diversi videogiocatori erano convinti ci fosse del vero. Si trattava in realtà di apposite mod realizzate amatorialmente: il successo della leggenda metropolitana fu comunque tale che Rockstar la omaggiò citandola in uno dei successivi capitoli, ambientato in una versione alternativa dello stesso mondo di gioco.

In molte occasioni, alla base di varie leggende metropolitane videoludica si rivela esserci la mancata conoscenza del funzionamento di alcuni aspetti. Spesso si ritiene che molti videogiochi siano capaci di imbrogliare, adattandosi al comportamento del giocatore e riuscendo a contrastare le sue più diverse azioni. È specialmente il caso di contesti nei quali è il caso a farla da padrona: si può pensare ai classici da casinò, dove per esempio soprattutto le slot machine sono protagoniste di numerose credenze per le quali sarebbe impossibile replicare una perfetta casualità. Nonostante diversi fact checking che dimostrano l’insussistenza di tali leggende, ancora molti ritengono che diversi titoli videoludici possano imbrogliare per vincere contro il giocatore.

In realtà in ogni videogioco la casualità, quando necessaria, è assicurata da numeri generati casualmente: dal lancio di un dado alla carta pescata, gli aspetti randomizzati nel videogioco sono veramente casuali perché gestiti da algoritmi specializzati. Si tratta in questo caso di una credenza legata al mistero del comportamento del software: mistero che, conoscendo la logica, cessa di essere tale.

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Infine, impossibile non citare la leggenda metropolitana che, a fine anni ’90, vedeva protagonista il misterioso 151esimo Pokémon: Mew. La prima generazione di giochi del franchise aveva creato, nel 1996, il primo storico gruppo di 150 mostri da catturare; eppure emerse l’esistenza di un misterioso Pokémon aggiuntivo segreto, catturabile solo tramite complicate procedure e glitch.

All’origine di tale leggenda, in realtà, c’era uno scherzo dei programmatori: al termine dello sviluppo uno di questi inserì, nel pochissimo spazio rimasto libero, un mostro aggiuntivo pensato come inside joke per gli addetti ai lavori. L’aggiunta rimase però nei titoli definitivi, e il presidente dell’azienda la sfruttò per fini promozionali: si decise di aggiungere ufficialmente ai 150 programmati anche il nuovo Pokémon misterioso, e di renderne esclusivo il suo ottenimento tramite eventi ufficiali Nintendo. In questo modo uno scherzo, emerso nella community videoludica come leggenda metropolitana, è stato “ufficializzato” contribuendo all’enorme successo del franchise.

Altri esempi potrebbero includere la presenza di Luigi in Super Mario 64, che si scoprì essere effettivamente stata in programma, o su Sheng Long, personaggio segreto di Street Fighter che in realtà era una semplice traduzione sbagliata di una mossa. Rimane il fatto che, anche nel videogioco, le leggende metropolitane trovano terreno fertile: la modernità del mezzo, e la sua misteriosità soprattutto prima della massiccia esplosione di Internet, hanno creato numerosi miti intorno al videogaming.

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