Mani addosso agli arbitri? Ora si rischiano fino a 16 anni di carcere

Una svolta storica nella tutela degli arbitri scuote il mondo dello sport italiano. Il Consiglio dei Ministri ha approvato una norma che cambia le regole del gioco — e stavolta non sul campo. Chiunque aggredirà un direttore di gara, infatti, potrà essere condannato a fino a 16 anni di carcere, a seconda della gravità delle lesioni causate.
La norma, inserita nel nuovo DL Sport su proposta del ministro Andrea Abodi e con il pieno supporto del presidente dell’AIA Carlo Pacifici Zappi, equipara gli arbitri ai pubblici ufficiali, estendendo loro le stesse tutele previste per chi rappresenta lo Stato.
Arbitro = pubblico ufficiale: cambia tutto
A finire sotto i riflettori è l’articolo 583-quater del Codice Penale, ora modificato per includere non solo gli arbitri, ma anche tutte le figure tecniche e sanitarie coinvolte nella gestione delle competizioni sportive. È la risposta a una lunga scia di violenze spesso impunite, come l’aggressione subita dall’arbitro Riccardo Bernardini nel 2018, che per anni ha rappresentato un caso emblematico ignorato dalle istituzioni.
Il nuovo assetto sanzionatorio prevede:
- 2–5 anni di reclusione per lesioni lievi,
- 4–10 anni per lesioni gravi,
- 8–16 anni per lesioni gravissime.
Una stretta netta, che allinea la figura dell’arbitro a quella di un agente di pubblica sicurezza, segnando un prima e un dopo nella gestione della violenza sportiva.

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La scorsa stagione ha registrato 648 episodi di aggressione ai danni di direttori di gara, con 371 giorni di prognosi complessiva. Le regioni più colpite? Lombardia (144 casi), Emilia-Romagna (78) e Lazio, che detiene il record di giorni di prognosi con ben 72. Numeri da emergenza, che rendono il nuovo decreto non solo necessario, ma urgente.
E non si tratta di una misura isolata. Tra i sostenitori figura anche il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, ex arbitro, che ha contribuito in modo decisivo all’approvazione. È un chiaro segnale: la politica ha finalmente deciso di intervenire con decisione.
Ma non basta una legge: serve una rivoluzione culturale
Lo riconoscono gli stessi vertici federali: questa norma, pur fondamentale, non è la bacchetta magica. “Non è solo questione di leggi, ma di cultura sportiva”, è il messaggio lanciato a chi crede che basti inasprire le pene per risolvere il problema.
L’obiettivo è più ambizioso: educare dal basso, partendo dai settori giovanili e dalle scuole, per prevenire l’odio, l’aggressività e la violenza che oggi infettano anche gli spalti delle categorie dilettantistiche.
In attesa del “commissario stadi”
Un’ultima nota riguarda il capitolo infrastrutture. Nonostante l’urgenza, non è ancora stata inserita nel decreto la figura del “commissario stadi”, pensata per velocizzare la riqualificazione degli impianti sportivi. Come confermato da Abodi, l’introduzione arriverà tramite emendamento successivo.
Per ora, però, il passo è storico. Con la nuova legge, arbitri e figure tecniche non saranno più bersagli indifesi, ma tutelati dallo stesso impianto normativo riservato a chi rappresenta l’ordine pubblico.
Un segnale forte, finalmente concreto. Ma la sfida vera si gioca sul campo della civiltà.
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