Piracy Shield sotto esame: l’UE critica l’Italia per il blocco dei contenuti online

L’Italia si è lanciata in prima linea nella lotta alla pirateria digitale con Piracy Shield, il sistema di blocco ultra-rapido pensato per proteggere i contenuti in diretta, soprattutto quelli sportivi. Ma ora, Bruxelles lancia un avvertimento: attenzione a non sacrificare i diritti fondamentali sull’altare della velocità.
In una lettera indirizzata al ministro degli Esteri Antonio Tajani, la Commissione europea ha riconosciuto gli sforzi italiani contro la pirateria, ma ha anche sollevato serie preoccupazioni sulla compatibilità del sistema con il Digital Services Act (DSA) e, soprattutto, con la libertà di espressione garantita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Piracy Shield: una soluzione estrema per un problema reale
Nato per contrastare la diffusione selvaggia di streaming illegali, Piracy Shield promette di bloccare i siti sospetti entro 30 minuti dalla segnalazione. Ma se da un lato i titolari dei diritti applaudono la rapidità, dall’altro gli osservatori internazionali denunciano un pericoloso squilibrio: chi subisce un blocco ingiusto può impiegare fino a 10 giorni per ottenere una revisione da parte dell’AGCOM.
Secondo la Commissione, questo divario rischia di danneggiare soggetti terzi innocenti, senza garanzie sufficienti per evitare abusi o errori.
Digital Services Act e violazioni potenziali
Nel mirino dell’Europa ci sono gli articoli 8, 8-bis, 9-bis e 10 del testo italiano, che dovrebbero adeguarsi all’articolo 9 del DSA. Ma secondo Bruxelles, così come sono scritti, non rispettano nemmeno i requisiti linguistici minimi. In più, il DSA non prevede l’emissione diretta di ordini di blocco da parte delle autorità nazionali, come invece fa il Piracy Shield.
Per questo la Commissione invita l’Italia a chiarire e correggere il testo definitivo del provvedimento.

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Il nodo della libertà di espressione
Uno dei punti più critici, secondo la Commissione, è proprio il rischio di ledere la libertà d’informazione. Bloccare un sito equivale a negare un servizio e, in alcuni casi, può anche significare censurare contenuti perfettamente legali.
Il DSA è chiaro: ogni ordine di rimozione deve essere proporzionato, motivato e bilanciato con i diritti delle parti coinvolte. Ma nel caso del Piracy Shield, secondo l’Europa, mancano le tutele adeguate, e il sistema potrebbe facilmente prestarsi a blocchi arbitrari o eccessivi.
Un sistema opaco e sbilanciato
La Commissione critica anche la mancanza di trasparenza e di criteri vincolanti per chi ha il potere di bloccare. Viene citato l’Addendum al manuale operativo del Piracy Shield, che prevede relazioni tecniche e responsabilità di chi richiede i blocchi. Ma queste linee guida non hanno valore legale, perché non sono incluse nel testo ufficiale della legge.
Bruxelles invita l’Italia a inserire esplicitamente queste garanzie nella normativa, rendendole vincolanti e verificabili.
Bloccare non basta: servono alternative
Un altro punto sollevato dalla CCIA (Computer & Communications Industry Association) e accolto dalla Commissione è che il blocco dei siti è facilmente aggirabile e non rimuove davvero i contenuti pirata. Anzi, può coprire le vere cause della pirateria, come la mancanza di accesso legale e i costi troppo elevati.
La Commissione ricorda che, secondo il DSA, non si può scaricare tutta la responsabilità sugli intermediari: servono soluzioni più ampie, coordinate e rispettose dei diritti digitali.
Piracy Shield va ripensato, non solo rivendicato
La lettera dell’UE non è un attacco all’Italia, ma un chiaro richiamo all’equilibrio tra tutela dei diritti e protezione dei contenuti. Combattere la pirateria è legittimo, ma non può trasformarsi in una scorciatoia verso la censura preventiva.
Se l’Italia vorrà davvero porsi come esempio a livello europeo, dovrà dimostrare che è possibile difendere la creatività senza affossare la libertà.
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