Addio pallone da calcio arancione: ennesimo fallimento di uno sport alla deriva

Lo avevamo scritto chiaramente, senza giri di parole e senza paura di sembrare controcorrente. Il pallone arancione della Serie A era una scelta sbagliata, inutile sotto il profilo tecnico e fastidiosa per chi guarda il calcio ogni settimana. All’epoca qualcuno parlò di esagerazione, qualcun altro di nostalgia, altri ancora di resistenza al cambiamento. Oggi, però, non servono interpretazioni: la Serie A fa marcia indietro. E il messaggio è uno solo: noi ve lo avevamo detto.
Il nuovo Puma Orbita Hi-Vis arancione aveva debuttato dalla dodicesima giornata di campionato con una promessa ambiziosa: migliorare la visibilità del pallone in campo e in televisione. Una scelta presentata come “innovativa”, quasi necessaria, in un calcio sempre più spettacolarizzato e dipendente dalle riprese TV. Peccato che l’esperimento si sia trasformato rapidamente in un boomerang. Quel colore acceso, lontano anni luce dalla neutralità del bianco o del giallo, non aiutava la lettura del gioco, disturbava l’occhio e rompeva l’equilibrio visivo delle azioni.

Chi segue il calcio con attenzione lo sa bene: il pallone non deve essere protagonista cromatico. Deve essere riconoscibile, sì, ma anche armonico con il contesto, con il campo, con le divise, con le luci degli stadi e con le telecamere. L’arancione, invece, finiva per “saltare fuori” dall’immagine, creando confusione soprattutto nelle riprese ravvicinate e nei cambi di campo rapidi. Un dettaglio? No. Un problema concreto, che avevamo già evidenziato quando il pallone era appena arrivato sui campi italiani.
Le proteste ignorate, poi la retromarcia ufficiale
Per settimane le lamentele sono arrivate da più fronti. Tifosi, appassionati, commentatori e semplici spettatori hanno segnalato la stessa cosa: quel pallone si vedeva male, soprattutto per chi soffre di daltonismo o di altre difficoltà visive. Un aspetto gravissimo, perché il calcio è uno sport popolare, trasversale, che deve essere accessibile a tutti. Continuare su quella strada avrebbe significato ignorare una parte del pubblico.


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La conferma definitiva è arrivata direttamente dai vertici della Lega. Ezio Maria Simonelli, presidente della Lega Serie A, ospite di Radio Anch’io Sport su Rai Radio 1, ha ammesso senza troppi giri di parole che la scelta del pallone arancione non è stata felice. Le proteste, ha spiegato, erano fondate. Alcune persone non riuscivano letteralmente a seguire l’azione. Un’ammissione che pesa come un macigno, soprattutto se confrontata con l’entusiasmo iniziale con cui era stato presentato il nuovo design.
Simonelli ha anche chiarito i motivi tecnici del ritardo nel cambio: per ogni partita servono circa 25 palloni, parliamo di 500 palloni a settimana, senza contare quelli destinati agli allenamenti delle squadre. Una macchina logistica enorme, che ora dovrà correre ai ripari. Ma la direzione è tracciata: si tornerà al giallo o al bianco, colori che funzionano, che non creano problemi e che il calcio conosce da decenni.
Innovazione non significa fare esperimenti sulla pelle degli spettatori
Questa vicenda dice molto più di quanto sembri. Racconta un certo modo di intendere l’innovazione nel calcio moderno, spesso ricordata solo quando serve un nuovo slogan o un nuovo prodotto da vendere. Cambiare per cambiare non è progresso. Se una soluzione crea più problemi di quelli che risolve, non è innovazione: è un errore.
Il pallone arancione ne è l’esempio perfetto. Un’idea nata a tavolino, probabilmente testata in condizioni ideali, ma completamente scollegata dall’esperienza reale di chi il calcio lo guarda ogni settimana. In questo senso, la marcia indietro della Serie A è una buona notizia, ma arriva tardi. Perché il problema era evidente fin dall’inizio. E chi segue il calcio con spirito critico lo aveva già capito.
Alla fine resta una constatazione semplice, quasi banale, ma fondamentale: ascoltare il pubblico non è un optional. Il calcio vive di tifosi, di spettatori, di passione. Ignorarli in nome di una presunta modernità porta solo a scelte sbagliate. Questa volta è andata così. La prossima, forse, qualcuno ci penserà due volte prima di chiamare “innovazione” ciò che è solo una buffonata ben confezionata.
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