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Blocco IPTV all’italiana: CCIA denuncia i rischi di Piracy Shield

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A oltre un anno dal debutto nel febbraio 2024, il sistema italiano Piracy Shield, ideato per contrastare la pirateria IPTV, continua a sollevare polemiche senza mantenere le promesse iniziali. L’ambiziosa visione di debellare la pirateria e generare significativi benefici economici si è scontrata con la realtà: i siti pirata proliferano, mentre l’AGCOM e i detentori dei diritti calcistici spingono per normative più severe. In questo contesto, la Computer & Communications Industry Association (CCIA) – che rappresenta colossi come Amazon, Apple, Google, Meta e Cloudflare – ha presentato una risposta incisiva alla consultazione pubblica sulle modifiche al sistema, denunciando “rischi significativi” per la libertà d’impresa e di espressione.

Piracy Shield: un sistema controverso

Lanciato con grandi aspettative, Piracy Shield non ha eliminato la pirateria come previsto. Le autorità italiane, anziché concentrarsi sui siti pirata, hanno spostato l’attenzione su una revisione legislativa, culminata in una consultazione pubblica che propone cambiamenti tecnici e operativi. Tuttavia, il velo di segretezza che avvolge il sistema – sviluppato da un’azienda legata alla Lega Calcio Serie A e privo di trasparenza tecnica – rende difficile un dialogo aperto con il pubblico. Qui entra in gioco la CCIA, che il 3 aprile 2025 ha sottoposto un documento dettagliato, chiedendo ad AGCOM di rivalutare il suo approccio.

“Piracy Shield rappresenta una minaccia per i principi fondamentali di libertà d’espressione e d’impresa, sanciti dal diritto europeo e italiano,” scrive la CCIA. Il sistema, che consente ordini di blocco in appena 30 minuti senza garanzie di giusto processo o ricorso, è al centro delle critiche. Errori operativi, come il blocco accidentale di servizi legittimi quali Cloudflare e Google Drive, hanno amplificato le preoccupazioni.

La CCIA evidenzia diversi problemi strutturali. Piracy Shield è gestito da un ristretto gruppo di soggetti, con un comitato tecnico accessibile solo su invito e scarsa partecipazione degli operatori digitali. La mancanza di dettagli tecnici pubblici e gli errori di sovraccarico dimostrano una gestione opaca e poco affidabile. Inoltre, il sistema si basa su un blocco dinamico che, pur rapido, non affronta le fonti dei contenuti pirata, limitandosi a interventi superficiali a livello di rete.

La CCIA contesta subito il paragrafo 4
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Proposte di riforma

La CCIA contesta specifiche disposizioni della bozza normativa AGCOM. L’articolo 8, comma 3, attribuisce all’autorità poteri extraterritoriali per ordinare la rimozione di contenuti da server fuori Italia, richiamando il Digital Services Act (DSA) senza chiarirne la base giuridica. “AGCOM deve specificare quale disposizione del DSA giustifichi tale autorità,” sottolinea la CCIA, rilevando un rischio di abuso di competenza.

Sul comma 4, la CCIA critica l’idea di estendere i poteri di AGCOM alla rimozione diretta di contenuti su server esteri, un’azione che duplica il blocco locale già in uso senza aggiungerne l’efficacia. Riguardo all’articolo 9, la CCIA insiste sul rispetto dei requisiti formali del DSA per gli ordini di rimozione, come la motivazione legale, l’identificazione chiara dei contenuti e l’indicazione dei meccanismi di ricorso – elementi spesso assenti nelle attuali procedure di Piracy Shield.

L’articolo 10, che regola le misure cautelari per i contenuti audiovisivi, è il vero nodo della discordia. La CCIA giudica irrealistico il limite di 30 minuti per eseguire un blocco, insufficiente per garantire precisione, e inadeguato il termine di cinque giorni per presentare ricorso contro blocchi ingiusti. “Servono trasparenza e tempi ragionevoli,” insiste il gruppo.

L’aggancio al DSA da parte di AGCOM è visto come problematico. Se da un lato il regolamento europeo offre un quadro per combattere i contenuti illeciti, dall’altro richiede garanzie che Piracy Shield non rispetta. La CCIA chiede che ogni ordine includa una base giuridica chiara, una spiegazione dell’illegalità e percorsi di ricorso accessibili – standard che AGCOM sembra ignorare nella sua fretta di agire.

Nella sua conclusione, la CCIA non si limita a criticare: propone un cambio di rotta. “Invece di insistere su blocchi di rete inefficaci e facilmente aggirabili, AGCOM dovrebbe colpire gli host e i distributori di contenuti pirata, proteggendo i contenuti alla fonte,” si legge nel documento. Il gruppo chiede un’udienza dedicata per discutere le sue raccomandazioni, sottolineando che il blocco a livello di rete non rimuove i contenuti illeciti né scoraggia le tattiche evasive dei pirati.

Un divario incolmabile?

Il contrasto tra AGCOM e CCIA riflette due visioni opposte: da un lato, un’autorità determinata a rafforzare un sistema rapido ma imperfetto; dall’altro, un’industria tecnologica che invoca equilibrio, trasparenza e rispetto dei diritti fondamentali. Mentre Piracy Shield continua a dividere, una cosa è chiara: senza un dialogo costruttivo, la lotta alla pirateria rischia di trasformarsi in un gioco a somma zero, con pochi vincitori e molti danni collaterali.

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