Cloudflare alza il tiro contro la pirateria in streaming: boom di rimozioni e oltre 20.000 account chiusi

Per anni Cloudflare è rimasta in una posizione scomoda, stretta tra le pressioni dei titolari dei diritti e la sua filosofia dichiarata di infrastruttura neutrale della rete. Oggi, però, qualcosa è chiaramente cambiato. L’ultimo rapporto sulla trasparenza pubblicato da Cloudflare racconta una svolta netta: le azioni di rimozione legate al copyright sono aumentate del 3.800% in appena sei mesi, con un impatto diretto soprattutto sulla pirateria dello streaming sportivo in diretta.
I numeri parlano chiaro. Nella prima metà del 2025 Cloudflare ha ricevuto 124.872 segnalazioni di violazione del copyright relative a contenuti ospitati sulla propria infrastruttura. Di queste, 54.357 hanno portato a interventi concreti, come la disabilitazione o la rimozione dei contenuti. Un salto enorme se confrontato con i soli 1.394 takedown registrati nel semestre precedente. Non si tratta di una semplice crescita graduale, ma di un vero e proprio cambio di marcia.
Alla base di questa accelerazione c’è una scelta strategica precisa: automatizzare l’enforcement. Cloudflare ha concesso ai titolari dei diritti l’accesso diretto a un’API dedicata, permettendo loro di inviare segnalazioni in modo massivo e rapido. Il risultato è un sistema più efficiente, con tempi di reazione drasticamente ridotti, un fattore cruciale quando si parla di eventi sportivi trasmessi in diretta.
API, automazione e il colpo agli account R2
Questo nuovo approccio non si è limitato alla rimozione di singoli contenuti. Le conseguenze si sono estese anche all’infrastruttura di archiviazione. Nella prima metà del 2025 Cloudflare ha chiuso 21.218 account R2, il suo servizio di object storage, utilizzato spesso come backend per la distribuzione di flussi pirata. Di questi, 19.817 sono stati elaborati automaticamente, segno di un sistema ormai in grado di operare su larga scala senza intervento manuale.
Justin Paine, vicepresidente per Trust & Safety di Cloudflare, ha spiegato che questo aumento non è dovuto solo a una maggiore attività di hosting, ma a una collaborazione più stretta con i titolari dei diritti, mirata in particolare allo streaming sportivo illegale.
L’automazione ha permesso di gestire volumi prima impensabili, trasformando Cloudflare da semplice intermediario tecnico a attore attivo nell’applicazione del copyright, almeno per quanto riguarda i contenuti ospitati direttamente.
Questa evoluzione segna una linea di confine importante. Cloudflare continua a ribadire di non intervenire sui clienti che usano esclusivamente i suoi servizi CDN pass-through. Tuttavia, quando entrano in gioco servizi di hosting e storage interni, la tolleranza è ormai molto più bassa. Un messaggio chiaro per chi utilizzava R2 come zona grigia per la distribuzione di contenuti non autorizzati.

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Blocchi, DNS e il nodo europeo
Accanto alle rimozioni, resta centrale il tema dei blocchi. Cloudflare segnala un aumento delle richieste di geoblocking, soprattutto in Europa, con la Francia in prima linea. In questi casi, l’azienda preferisce limitare l’accesso ai domini su base geografica piuttosto che intervenire sul proprio risolutore DNS pubblico 1.1.1.1, che continua a essere considerato una linea rossa.
Nel rapporto, Cloudflare ribadisce un punto chiave: il blocco DNS verrà evitato a tutti i costi. L’azienda afferma di aver intrapreso azioni legali o individuato soluzioni alternative ogni volta che le è stato chiesto di bloccare contenuti direttamente tramite DNS. Ad oggi, sottolinea, nessun contenuto è stato bloccato attraverso il risolutore 1.1.1.1.
Il discorso si fa ancora più delicato quando entrano in gioco i blocchi imposti dagli ISP. In Spagna e Italia, ad esempio, alcuni provider sono stati costretti a bloccare indirizzi IP legati a flussi sportivi illegali, colpendo però anche siti perfettamente legittimi ospitati sull’infrastruttura Cloudflare.
Paine non usa mezzi termini nel criticare l’approccio della LaLiga, definendolo “goffo” e sproporzionato, accusando il campionato spagnolo di anteporre i propri interessi commerciali ai diritti fondamentali degli utenti.
Il caso Regno Unito e il nuovo equilibrio
Nonostante le critiche ai blocchi indiscriminati, Cloudflare ha iniziato a muoversi anche sul fronte della cooperazione volontaria. Nel Regno Unito, l’azienda ha avviato il blocco di alcuni domini pirata sulla base di vecchi ordini giudiziari, anche quando non era parte direttamente coinvolta nei procedimenti. Un approccio simile a quello adottato da Google in diversi Paesi.
In questi casi, Cloudflare mostra una pagina interstiziale con codice di stato 451, che rimanda all’ordine specifico e offre una procedura di contestazione. Secondo Paine, questa strategia dimostra che l’azienda è disposta ad agire, purché le richieste siano mirate e ragionevoli, evitando gli effetti collaterali devastanti dei blocchi di massa.
Il quadro che emerge è quello di un Cloudflare sempre più coinvolto nell’enforcement del copyright, ma ancora fermamente contrario a soluzioni che “rompono le fondamenta di Internet”.
Con l’automazione delle segnalazioni, la chiusura massiva degli account R2 e una cooperazione selettiva con i titolari dei diritti, il volume delle rimozioni è destinato a crescere. La vera battaglia, però, resta quella sul metodo: efficacia contro pirateria sì, ma senza trasformare la rete in un campo minato per gli utenti legittimi.
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