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Cloudflare attacca i governi: “I blocchi dei siti esteri violano il libero commercio digitale”

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Nel suo intervento per il National Trade Estimate Report 2026, Cloudflare ha lanciato un duro avvertimento agli Stati Uniti: le politiche di blocco automatico dei siti web adottate da diversi paesi, tra cui Italia, Spagna e Francia, non solo colpiscono la pirateria, ma ostacolano il commercio digitale globale e danneggiano le imprese americane.

Secondo il gigante del cloud, questi sistemi generano un effetto domino devastante: nel tentativo di fermare i pirati, vengono oscurati anche decine di migliaia di siti legittimi, con gravi conseguenze economiche e reputazionali.

“Piracy Shield” sotto accusa: l’Italia blocca anche Google Drive

Cloudflare cita in particolare l’Italia come uno dei casi più preoccupanti.
Nel suo rapporto, l’azienda descrive Piracy Shield, il sistema automatizzato di blocco promosso dall’AGCOM, come un meccanismo che “colpisce in modo sproporzionato” i fornitori di tecnologia statunitensi.

Il regolamento impone alle reti e alle CDN di bloccare i siti segnalati entro 30 minuti, ma senza adeguate garanzie contro i danni collaterali.
Il risultato? Nel febbraio 2024 un singolo indirizzo IP Cloudflare è stato bloccato, oscurando decine di migliaia di siti web non correlati.
E nell’ottobre dello stesso anno, il dominio drive.usercontent.google.com — necessario per accedere a Google Drive — è stato bloccato per oltre 12 ore in tutta Italia, lasciando milioni di utenti e aziende tagliati fuori dai propri documenti.

Cloudflare denuncia che queste azioni, “progettate per proteggere pochi interessi commerciali”, stanno invece creando un ambiente digitale instabile e scoraggiano la presenza di imprese straniere nel paese.
Ancora peggio, l’espansione di Piracy Shield ai risolutori DNS pubblici e ai servizi VPN rischia di spingere alcune aziende statunitensi a ritirarsi completamente dal mercato italiano.

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Spagna e Francia: blocchi IP indiscriminati e nuovi automatismi

Anche la Spagna non se la cava meglio. Secondo Cloudflare, i tribunali spagnoli rilasciano “ordinanze generali” che autorizzano il blocco di interi indirizzi IP condivisi, spesso utilizzati da migliaia di siti.
Una pratica che porta alla “diffusa e ripetuta interruzione di servizi legittimi” e alla mancanza di ricorso legale per le aziende danneggiate.

La Francia, dal canto suo, ha approvato di recente un nuovo disegno di legge antipirateria che introduce un sistema di blocco automatizzato simile a quello italiano.
L’articolo L.333-10 del Codice dello Sport estende i poteri di blocco non solo ai provider internet, ma anche ai risolutori DNS e ai servizi VPN, molti dei quali — osserva Cloudflare — non hanno le capacità tecniche per conformarsi.

Il risultato, denuncia l’azienda americana, sarà una nuova ondata di “danni collaterali” e un rischio crescente di censura accidentale di contenuti legittimi.

Anche la Corea del Sud impone barriere digitali

Cloudflare include nella lista nera anche la Corea del Sud, che nel 2023 ha modificato il suo Network Act per obbligare le CDN a limitare l’accesso a contenuti ritenuti illegali.
Questo significa che società statunitensi devono mantenere e aggiornare elenchi di blocco di oltre 1,5 milioni di URL, con 30.000 nuovi indirizzi aggiunti ogni mese.
Un onere burocratico e tecnico che Cloudflare definisce “senza precedenti” e che rappresenta una vera e propria barriera al commercio digitale.

Il paradosso americano: combattere la pirateria o difendere la libertà digitale?

Ogni anno l’Ufficio del Rappresentante commerciale degli Stati Uniti (USTR) pubblica un rapporto sulle barriere al commercio estero, costruito sui contributi delle aziende del settore.
Tradizionalmente, i grandi gruppi dell’intrattenimento come l’MPA hanno chiesto più blocchi e controlli per arginare la pirateria.
Ora, però, una nuova voce si alza dal fronte opposto: Cloudflare chiede all’USTR di riconoscere che questi sistemi di blocco stanno diventando essi stessi una minaccia al commercio libero e all’innovazione tecnologica.

In sostanza, la guerra alla pirateria rischia di trasformarsi in una guerra alla rete stessa.
Se l’USTR accoglierà o meno le richieste di Cloudflare lo scopriremo nei primi mesi del 2026, quando verrà pubblicato il nuovo National Trade Estimate Report.
Ma una cosa è chiara: per la prima volta, una delle aziende più potenti del web accusa apertamente i governi europei di sabotare il mercato digitale globale in nome dell’antipirateria.

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