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David Icke lancia l’allarme: gli smartphone stanno riscrivendo il cervello dei giovani

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Questo articolo si basa su una recente intervista di David Icke, in cui l’autore britannico affronta uno dei temi più controversi e inquietanti della nostra epoca: l’impatto degli smartphone sul cervello umano e, soprattutto, sulle nuove generazioni. Le sue parole sono dirette, provocatorie, difficili da ignorare. E, al di là del consenso o del dissenso, sollevano interrogativi che meritano di essere ascoltati con attenzione.

Secondo Icke, i giovani di oggi nascono in un mondo che non hanno mai visto cambiare. Nascono immersi nella tecnologia, la respirano fin dalla culla e la considerano parte della realtà stessa. Per loro non è una novità, non è un’invenzione, non è un cambiamento. È semplicemente come il mondo è sempre stato. Ed è proprio questa normalizzazione a renderli più vulnerabili di qualunque generazione precedente.

Lo studio che conferma i timori: gli smartphone stanno modificando il cervello dei giovani

Nell’intervista, David Icke cita uno studio pubblicato negli ultimi giorni che analizza gli effetti degli smartphone sulla popolazione, con particolare attenzione ai giovani dipendenti da questi dispositivi. I ricercatori hanno individuato cambiamenti fondamentali nell’attività cerebrale, nella capacità di elaborare informazioni e perfino nella struttura della personalità.
Sono trasformazioni profonde, che emergono soprattutto negli adolescenti costantemente esposti agli schermi.

Icke sostiene da tempo che le frequenze elettriche ed elettromagnetiche emesse dagli smartphone non siano innocue. A suo avviso, non solo influenzano il comportamento, ma sono progettate per interagire con le funzioni cerebrali. L’idea, discussa ma non priva di interrogativi aperti, trova eco proprio in quelle alterazioni dell’attività neurale evidenziate dallo studio: schemi cognitivi più frammentati, maggiore reattività superficiale, riduzione della profondità del pensiero.

Per David Icke non si tratta di un effetto collaterale, ma di un meccanismo di condizionamento.

Gli adulti non cambiano, i giovani sì: la memoria del “prima” fa la differenza

Uno degli aspetti più rilevanti della ricerca citata riguarda il confronto tra generazioni. Le persone più anziane che non sono dipendenti dagli smartphone — o che addirittura non li possiedono — non mostrano gli stessi cambiamenti osservati nei giovani. I loro cervelli continuano a elaborare informazioni come sempre, senza deviazioni significative dai modelli storici.

Questo, secondo Icke, è un punto chiave. Gli adulti ricordano il mondo pre-smartphone. Hanno memoria della lentezza, delle conversazioni senza distrazioni, della capacità di stare da soli con i propri pensieri.
Hanno un radar interno che riconosce quanto la società sia cambiata in un tempo sorprendentemente breve.

I giovani, invece, non hanno questa memoria. E questa assenza di confronto rende normale tutto ciò che li circonda: l’iperconnessione, la costante stimolazione digitale, l’assenza di silenzio, l’impossibilità di annoiarsi. Per loro questa è la realtà, non una transizione.

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La nuova normalità: nascere dentro il cambiamento significa non vederlo

David Icke insiste su un concetto semplice ma potente: “quando vieni al mondo, pensi che questo sia ciò che è”. Se la tua vita inizia nel pieno dell’era degli smartphone, non hai motivo di sospettare che ci sia stata — fino a poco tempo fa — una quotidianità completamente diversa.
Il cambiamento si mimetizza perché coincide con la tua nascita.

L’intervista sottolinea come la generazione più giovane stia crescendo in un ambiente tecnologico sempre più estremo, che si spinge ogni anno un po’ più avanti. E poiché non ha termini di paragone, non può riconoscerne la portata. Non può vedere cosa si è perso.
Non può valutare il prezzo del progresso.

Sono gli adulti a percepire lo strappo, perché hanno vissuto la transizione. I giovani, invece, abitano direttamente l’esito finale.

Perché puntare ai giovani: la memoria è l’ultimo ostacolo al cambiamento totale

Nella parte più intensa dell’intervista, Icke spiega perché, secondo lui, l’attenzione delle grandi forze tecnologiche si concentri soprattutto sui giovani. Sono loro a rappresentare il futuro, e saranno loro gli adulti quando l’attuale infrastruttura digitale raggiungerà la sua forma definitiva.

Le generazioni più anziane, con la loro memoria del mondo precedente, sono destinate a svanire. E con loro svanirà anche la consapevolezza di quanto tutto sia cambiato. Senza quella memoria, senza quel confronto, senza la testimonianza di chi ha vissuto il “prima”, diventa impossibile capire la portata del controllo che si è installato.

Secondo Icke, questo è il vero obiettivo: costruire una società dove il cambiamento non è più percepito come tale, ma come natura stessa.

Ed è esattamente per questo — afferma — che i giovani vengono mirati più di tutti.

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