DDoS-Guard e il caso LaLiga: quando la guerra alla pirateria diventa un test di sopravvivenza per Internet

LaLiga vuole fermare la pirateria. Fin qui, nulla di nuovo. Ma la portata delle sue azioni sta sollevando un’allarme senza precedenti tra gli operatori dell’infrastruttura Internet, che vedono ciò che sta accadendo in Spagna come un pericoloso esperimento: un test per capire fin dove un’organizzazione privata possa spingersi nel controllare la rete.
A denunciarlo apertamente è Dmitry Nikonov, responsabile Web Application Protection di DDoS-Guard, società concorrente di Cloudflare. La sua analisi è brutale: secondo lui, LaLiga ha ottenuto un potere enorme, quasi incontrollato, capace di colpire interi blocchi di Internet con un semplice ordine.
Un potere che somiglia sempre meno a un’azione di tutela del copyright e sempre più a una forma di regolazione privata della rete.
Tutto nasce da un dato che ha fatto scalpore: la quantità di “overblocking”, ovvero blocchi eccessivi che colpiscono anche servizi legittimi, è talmente ampia da risultare “sorprendente”.
E quando una semplice partita di calcio diventa il pretesto per interrompere la connettività di migliaia di utenti innocenti, il problema smette di essere tecnico e diventa politico.
LaLiga festeggia i “risultati”, ma a quale prezzo?
LaLiga sostiene di aver ridotto la pirateria in Spagna fino al 60%, grazie alla normativa già in vigore. Anche una riduzione del 40% — la stima più prudente— sarebbe comunque una cifra imponente, che nessun’altra organizzazione europea è mai riuscita a ottenere.
Ma questi numeri non sorprendono, se si considera il livello di potere che LaLiga detiene: può ordinare agli ISP spagnoli il blocco aggressivo e immediato di qualsiasi sito, indirizzo o servizio sospettato di facilitare streaming non autorizzati.
E questo include anche i servizi di Cloudflare, usati non solo dai pirati, ma da milioni di utenti, aziende e siti perfettamente legittimi.
Secondo i dati di maggio 2025, il 38% della pirateria di contenuti LaLiga transitava attraverso Cloudflare. È bastato questo per giustificare blocchi massivi degli IP del provider, che però ospita anche infrastrutture di e-commerce, media, blog, portali istituzionali.
Per la logica della normativa antipirateria spagnola, tutto questo è sacrificabile.
Il rischio è evidente: se bloccare interi segmenti di Internet permette di ridurre la pirateria, allora diventa “accettabile” continuare così.
È un precedente che può trasformare la rete europea nel far west della censura privatizzata.

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Il motivo è semplice: se le autorità possono colpire Cloudflare senza limiti, potrebbero colpire qualunque altro provider internazionale, inclusi loro.
Nikonov descrive uno scenario inquietante:
“LaLiga è fuori controllo. Può applicare un’etichetta ‘piracy’ a intere gamme di indirizzi, influenzando endpoint del tutto innocenti.”
Il punto non è difendere i pirati, ma evidenziare come un modello simile bypassi completamente il dibattito pubblico, i tribunali, la trasparenza.
Il risultato è che una società privata può ottenere un’autorità equivalente — se non superiore — a quella di un regolatore statale.
Ed è qui che Nikonov lancia la sua accusa più forte:
“Le partite di calcio sono diventate il pretesto per verificare se qualcuno sia ancora disposto a proteggere la libertà di Internet.”
Dietro ai blocchi DNS si nasconde qualcosa di più grande: il controllo del BGP
Nikonov suggerisce che la Spagna non si limita a “bloccare siti”, come raccontato nei comunicati ufficiali.
Secondo lui, la CNMC, su richiesta di LaLiga, emette direttive obbligatorie che forzano gli ISP ad agire non solo sul DNS, ma anche sul BGP — il protocollo che tiene letteralmente insieme l’Internet globale.
Ed è qui che il discorso diventa pericoloso: manipolare il BGP non è una misura “di contorno”. È uno strumento potentissimo, e il suo uso improprio può generare effetti collaterali devastanti sulla stabilità della rete.
Gli ISP spagnoli, di fatto, stanno diventando esecutori di politiche antipirateria imposte non da un governo, ma da un soggetto privato, supportato dal governo.
È un nuovo modello di governance della rete, che potrebbe replicarsi altrove.
Ed è questo lo scenario che spaventa maggiormente Nikonov: una Internet dove l’accesso ai contenuti non dipende più da standard tecnici, ma dalle decisioni commerciali di pochi attori con enormi interessi economici.
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