Gemini non prende ancora il posto di Assistant: Google rallenta (e qualcosa non torna)

Sembrava tutto deciso, quasi inevitabile. Google aveva annunciato il passaggio definitivo da Google Assistant a Gemini sugli smartphone Android, presentandolo come un’evoluzione naturale: più intelligenza artificiale, più contesto, più capacità. E invece, proprio quando la transizione sembrava lanciata a tutta velocità, è arrivata la frenata inattesa.
Google ha infatti confermato che la migrazione completa richiederà più tempo del previsto. Altro che fine 2025: il processo continuerà almeno fino al 2026. Un rinvio che sa di cautela, ma anche di problemi non del tutto risolti.
Il cambio di programma che non convince
L’annuncio è arrivato direttamente dal blog ufficiale di Google, con toni rassicuranti ma vaghi. L’azienda parla di una “transizione più fluida”, di adattamenti necessari, di attenzione all’esperienza utente. Ma nessuna spiegazione concreta su cosa abbia realmente spinto a rallentare.
E quando Google non entra nei dettagli, di solito significa una cosa: Gemini non è ancora pronto a sostituire Assistant in tutto e per tutto. Non sul piano tecnico, non su quello pratico, e soprattutto non su quello dell’affidabilità quotidiana.
Il messaggio implicito è chiaro: meglio prendersi un anno in più che rischiare di rompere un meccanismo che, per milioni di utenti, è diventato centrale nell’uso dello smartphone.
Una porta che si chiude: niente ritorno a Assistant
C’è però un dettaglio che rende questa transizione ancora più delicata. Google ha lasciato intendere che una volta passati a Gemini, non sarà possibile tornare indietro. Anche se Google Assistant resterà supportato ancora per un po’, chi effettuerà l’aggiornamento non potrà più riattivarlo né scaricare nuovamente l’app.
In altre parole, Gemini non è un’alternativa: è una scelta definitiva. Ed è qui che nasce il paradosso. Google rallenta perché vuole essere prudente, ma allo stesso tempo prepara un passaggio senza via di fuga. Una combinazione che mette pressione sia sugli utenti sia sugli sviluppatori.

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Gemini cresce, ma non è ancora un vero sostituto
Nel corso di quest’anno, Google ha già iniziato ad avvicinare Gemini alle funzioni classiche di Assistant. Chiamate, timer, invio di messaggi: tutte operazioni basilari che oggi funzionano in modo simile a prima. Ma è proprio questa somiglianza a sollevare una domanda scomoda.
Se Gemini deve fare le stesse cose di Assistant, dov’è il salto reale?
L’intelligenza artificiale promette molto di più: comprensione del contesto, dialogo naturale, ragionamento avanzato. Ma nel quotidiano, per ora, Gemini sembra ancora un ibrido, sospeso tra chatbot evoluto e assistente incompleto.
E quando si parla di assistenti vocali, l’errore non è concesso. Un timer che non parte, una chiamata sbagliata, un comando ignorato: basta poco per far perdere fiducia all’utente.
Perché Google sta prendendo tempo
Il rinvio al 2026 suggerisce una verità piuttosto evidente: sostituire Assistant è molto più difficile di quanto Google avesse previsto. Assistant è profondamente integrato in Android, nei servizi di sistema, nei dispositivi smart, nell’ecosistema domestico. Gemini, invece, nasce come modello di intelligenza artificiale generale, non come assistente “di sistema”.
Fondere queste due anime richiede tempo, test, correzioni. E soprattutto richiede evitare che l’utente finale percepisca il cambiamento come un passo indietro.
Una transizione che dice molto sul futuro di Android
Questo rallentamento non è solo un dettaglio tecnico. È un segnale. Dimostra che l’era dell’IA non può semplicemente sostituire tutto ciò che c’era prima, almeno non senza attriti. Google vuole che Gemini diventi il nuovo volto dell’assistenza su Android, ma deve fare i conti con la realtà: le promesse dell’IA sono enormi, l’uso quotidiano molto più spietato.
Per ora, quindi, la parola d’ordine è una sola: attendere. Gemini arriverà ovunque, questo è certo. Ma non così in fretta come Google aveva fatto credere.
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