Il grande bluff della verifica dell’età: lo SPID nei siti porno non esiste, ma qualcosa non torna

Per giorni in Italia non si è parlato d’altro: dal 12 novembre, dicevano i titoli, per accedere ai siti porno i minorenni avrebbero dovuto usare lo SPID. Una bomba mediatica riciclata ovunque, dai social alle prime pagine. Il sottotesto, manco troppo velato, era chiaro: se sei minorenne e vuoi accedere ai siti per adulti, devi identificarti.
Solo che questa storia, semplicemente, non è vera. La norma non prevede l’uso obbligatorio dello SPID. E allora perché è circolata ovunque? Perché la voce è stata rilanciata in modo così insistente da sembrare quasi una campagna coordinata?
Lo scenario più intrigante non è quello che appare in superficie, ma ciò che la vicenda potrebbe nascondere sotto la patina della “tutela dei minori”. Perché la domanda che sta iniziando a farsi strada è un’altra, molto più scomoda: e se tutto questo non fosse altro che un gigantesco test sociale per capire quanti minorenni sono pronti a richiedere un’identità digitale pur di aggirare un blocco?
Una provocazione? Forse. Ma vale la pena guardarci dentro.
Cosa dice davvero la norma: niente SPID, tanta confusione e molti silenzi
La delibera AGCOM entrata in vigore dal 12 novembre impone ai siti pornografici un sistema di verifica dell’età più severo della classica finestra “Hai più di 18 anni?”. Nel linguaggio tecnico del provvedimento ci sono frasi come “soggetto terzo certificato”, “token anonimo”, “doppio anonimato”.
Tradotto:
- Non possono più affidarsi all’autocertificazione.
- Devono verificare realmente che l’utente sia maggiorenne.
- Il controllo dev’essere gestito da un soggetto esterno, non dal sito.
- Il sito non deve conoscere l’identità dell’utente.
- Il certificatore non deve sapere a quale sito l’utente vuole accedere.
In tutto questo, però, non si parla mai di SPID obbligatorio. Né per i maggiorenni, né per i minorenni. La verifica può avvenire tramite sistemi diversi, che non richiedono né l’identità digitale, né la raccolta di dati sensibili direttamente da parte della piattaforma pornografica.
E allora perché la notizia “serve lo SPID” ha incendiato il dibattito pubblico?
Per una semplice ragione: non c’è stata chiarezza comunicativa. La norma è tecnica, scritta male e spiegata peggio. Il risultato è stato un vuoto informativo che ha creato un terreno fertile per interpretazioni arbitrarie, semplificazioni estreme e titoloni da clickbait.

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Il vero punto oscuro: se la storia dello SPID fosse stata un esperimento sociale?
Qui si entra nel territorio più delicato e allo stesso tempo più affascinante.
Perché, anche se lo SPID non è obbligatorio, la sola idea che potesse servire è bastata a ottenere un risultato inatteso: migliaia di minorenni hanno iniziato a informarsi su come attivarlo.
E questo è un dato che fa riflettere.
Negli ultimi anni, governo e istituzioni hanno spinto come mai prima sull’identità digitale: SPID, CIE, wallet europeo, sistemi di autenticazione biometrica. Il problema? Una parte della popolazione, soprattutto i giovanissimi, continua a esserne fuori.
E ora arriva una norma confusa, difficile da applicare, piena di falle logiche ed enormi difficoltà tecniche. Una norma che, nei fatti, non è ancora operativa perché i siti sono in ritardo, i certificatori non sono pronti e l’infrastruttura non è completata.
Eppure il messaggio mediatico dominante è uno solo: per entrare nei siti porno serve lo SPID.
Ti sorprenderebbe se un domani saltasse fuori che tutto questo rumore abbia generato un’impennata nelle richieste di SPID da parte degli under 18?
O che qualche ente abbia voluto osservare l’impatto sociale di una misura così sensibile?
O ancora che l’intero polverone abbia funzionato come gigantesca campagna indiretta per l’identità digitale?
Non sarebbe la prima volta che una misura “tutela-minori” diventa un trampolino per qualcos’altro.
Una misura di facciata? Tra privacy a rischio, applicazione debole e molti dubbi aperti
Anche se si resta coi piedi per terra, la norma presenta problemi enormi.
Le falle sono evidenti:
- Solo una manciata di siti ha iniziato ad adeguarsi.
- Aggirare i blocchi è facilissimo tramite VPN o siti mirror.
- La tutela dei minori, nei fatti, è ancora inesistente.
- La logica del “doppio anonimato” è nobile sulla carta, ma complessa da garantire tecnicamente.
- Il rischio per la privacy è reale, perché qualsiasi sistema di verifica dell’età comporta comunque un trattamento di dati sensibili.
In molti si chiedono se la priorità fosse davvero quella di proteggere i minori, o se l’intera operazione sia stata costruita su un eccesso di propaganda, un po’ di moralismo, e una grande dose di improvvisazione tecnologica.
Il dubbio resta: cui prodest? Chi ci guadagna davvero?
Conclusione: più che una tutela, un gigantesco test culturale
La verità è che questa storia ha mostrato quanto fragile sia il rapporto tra istituzioni, identità digitale e libertà online. In un Paese dove le leggi sulla tecnologia sono spesso lacunose e comunicate male, è bastata una scintilla per creare una narrazione distorta.
Una narrazione che non è stata subito smentita, e che ha creato un clima perfetto per osservare reazioni, comportamenti e paure collettive.
Che fosse voluto o meno, lo SPID nei siti porno è diventato un esperimento sociale su larga scala, capace di mostrare come la percezione pubblica possa essere indirizzata, plasmata o manipolata con straordinaria facilità.
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