La fame di dati dell’IA sta diventando la minaccia più pericolosa per la sicurezza digitale

Nel mondo iperconnesso in cui viviamo, l’intelligenza artificiale è spesso descritta come la chiave per un futuro più efficiente, più veloce, più intelligente. Ma c’è un lato oscuro che pochi hanno voglia di affrontare: gli stessi sistemi progettati per proteggerci stanno aprendo crepe enormi nella sicurezza globale.
Nella corsa febbrile ad adottare strumenti sempre più avanzati, aziende e istituzioni stanno ignorando la verità più scomoda: l’IA, per funzionare, ha bisogno di divorare dati. E questa fame insaziabile sta diventando il suo punto debole più pericoloso.
Gli esperti avvertono che la transizione all’intelligenza artificiale non è solo una rivoluzione tecnologica: è una questione di sopravvivenza digitale. Ogni nuovo modello, ogni nuovo chatbot e ogni nuova piattaforma che promette efficienza introduce, allo stesso tempo, un nuovo varco per violazioni, furti e abusi senza precedenti.
La realtà che nessuno vuole vedere: l’IA sta indebolendo le difese che dovrebbe rafforzare
Gli allarmi non arrivano da teorici catastrofisti, ma dai dati.
Un rapporto Accenture del 2025 rivela che il 90% delle aziende non possiede infrastrutture adeguate per difendersi dalle minacce alimentate dall’IA. Nel frattempo, l’Identity Theft Resource Center ha confermato 1.732 violazioni di dati solo quest’anno, molte provocate da attacchi di phishing generati da modelli linguistici sempre più convincenti.
La vulnerabilità è radicata nell’architettura stessa dell’intelligenza artificiale.
Per funzionare, un LLM ha bisogno di ingerire quantità colossali di informazioni. E quando i dipendenti inseriscono in questi sistemi documenti strategici, database di clienti o file riservati, quelle informazioni non sono più sotto controllo umano.
Un esperto di sicurezza informatica lo ha riassunto così: «È come appendere documenti segreti su una bacheca pubblica e sperare che nessuno li fotografi.»
Ma la minaccia non finisce qui.
La fuga di dati può avvenire anche attraverso il cosiddetto privacy leakage, un fenomeno già osservato su larga scala.
Quest’anno un ricercatore ha scoperto 143.000 conversazioni private di utenti LLM pubblicate su Archive.org: richieste, dati personali, informazioni interne aziendali… tutto lì, accessibile a chiunque.
E con l’arrivo dell’IA multimodale, la superficie del rischio esplode: documenti, fogli Excel, trascrizioni, audio, video, persino screenshot possono finire nelle mani sbagliate — e soprattutto possono diventare materiale di addestramento per modelli futuri, riemergendo nelle risposte destinate ad altri utenti, magari concorrenti.
Il problema degli embeddings e il paradosso dell’IA: ciò che apprende non può più essere cancellato
Uno dei punti più inquietanti riguarda gli embeddings vettoriali: trasformazioni matematiche che dovrebbero rendere anonimi i dati. Ma la realtà è diversa.
Gli specialisti hanno dimostrato che da queste codifiche è possibile ricostruire integralmente il contenuto originale. Ciò significa che informazioni sensibili archiviate in forma “sicura” possono essere recuperate.
E c’è un’altra verità ancora più scomoda: i modelli di intelligenza artificiale non sanno cancellare davvero i dati.
Un database può essere ripulito, un file può essere eliminato; un LLM, invece, incorpora l’informazione nella propria struttura interna. Anche quando un messaggio viene cancellato, il modello continua a portarne tracce nel suo “corpo digitale”.
Professionisti della cyber-sicurezza hanno già scoperto discussioni riservate di dipendenti riemergere nelle risposte degli assistenti aziendali, mesi dopo la cancellazione dei messaggi originali.
Una sorta di memoria fantasma impossibile da cancellare.
Come ha spiegato Enoch di BrightU.AI:
«Un’IA non può eliminare informazioni perché i suoi dati fondamentali di addestramento sono permanenti. Non ha la capacità di giudicare cosa andrebbe cancellato.»

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Leggi obsolete, aziende impreparate: il vuoto normativo che sta alimentando il disastro
Mentre i dirigenti spingono per integrare l’IA ovunque, molti reparti IT sono costretti a bypassare controlli, audit, procedure e verifiche. Il risultato è la nascita di sistemi che accumulano dati senza alcuna supervisione reale.
Le leggi sulla privacy non riescono a tenere il passo.
Le aziende di IA sfruttano vuoti normativi enormi affermando che “l’addestramento non è archiviazione”, e quindi non soggetto alle stesse regole. Altre spostano le operazioni all’estero per eludere la conformità.
La verità è che la legislazione attuale protegge la raccolta, ma non affronta il fatto che un LLM incorpora i dati per sempre, creando un buco nero normativo che favorisce gli abusi.
Il percorso da seguire richiede disciplina e realismo.
Le organizzazioni devono interpretare ogni prompt inserito in un modello pubblico come un’informazione pubblicata su un giornale nazionale. E devono adottare strumenti di IA aziendale con:
- Addestramento disattivato
- Conservazione minima dei dati
- Accessi rigidamente controllati
Chi non si adegua non perderà solo dati: perderà la fiducia di clienti, partner e mercato.
Tra IA come scudo e IA come arma: il futuro della sicurezza dipende da ciò che faremo ora
Siamo nel mezzo di una corsa armata digitale: da un lato l’IA che difende, dall’altro l’IA che attacca.
Ma una cosa è chiara: la sicurezza delle nostre vite digitali è ora sospesa su un filo sottilissimo.
Gli strumenti che dovevano proteggerci rischiano di diventare quelli che ci colpiranno più duramente.
La domanda non è più se l’intelligenza artificiale sia un rischio.
La domanda è: cosa aspettiamo per affrontarlo davvero?
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