La Serie A vuole fare cassa con i “pirati”: ora anche il pallone manda le multe?

Dopo Dazn, anche la Lega Serie A ha deciso di improvvisarsi riscossore di multe contro gli utenti del “pezzotto”.
Sì, avete letto bene: non la Guardia di Finanza, non il tribunale, ma la Lega stessa – quella che dovrebbe occuparsi di palloni e calendari, non di cause civili – pretende un risarcimento “privato” dai pirati del calcio. E, naturalmente, sarà più salato dei 500 euro richiesti da Dazn.
Un po’ come dire: “Ci avete guardato, ora pagate anche il replay”.
Quando la Serie A si crede un’autorità giudiziaria
Durante il Football Summit Forum (che ormai somiglia più a una riunione del club dei risentiti che a un evento sportivo), il presidente Ezio Maria Simonelli ha annunciato che la Lega sta preparando la propria “azione risarcitoria” contro chi ha usato il pezzotto.
Tradotto: stanno cercando un modo per mandare una lettera come Dazn, ma con un prezzo più alto.
Peccato che ci sia un piccolo problema legale — e non proprio trascurabile:
nessuna azienda privata ha il potere di emettere sanzioni o richiedere “multe” al posto delle autorità competenti.
Al massimo può tentare un’azione civile, ma solo dimostrando un danno diretto e individuale, cosa che, nella giungla dei flussi streaming, è praticamente impossibile.
Ma tant’è: in un Paese dove si parla di “educare i pirati”, pare che qualcuno stia confondendo la legalità con la fattura elettronica.
Dazn: la paladina della legalità (a pagamento)
Tutto è iniziato con Dazn, che a settembre ha spedito lettere “amichevoli” a oltre 2.200 utenti identificati dopo l’operazione della Guardia di Finanza di Roma e Lecce.
Un messaggio chiaro: “Paga 500 euro e facciamo finta di niente”.
Un po’ come un abbonamento VIP alla redenzione: se versi il contributo, il tuo peccato digitale viene cancellato.
Il colosso dello streaming ha dato agli utenti sette giorni per pagare, minacciando “iniziative giudiziarie appropriate” in caso di rifiuto.
In pratica, una forma di moral suasion legale che ricorda più un messaggio di phishing con carta intestata che una vera azione giuridica.

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Durante lo stesso evento, l’amministratore delegato di Dazn Italia, Stefano Azzi, ha spiegato che la pirateria in Italia non è un problema economico, ma culturale.
«Oltre il 60% degli utenti del pezzotto appartiene a fasce medio-alte di reddito», ha dichiarato, come se chi non paga il calcio fosse un ardito rivoluzionario di classe media da rieducare.
Un discorso curioso, considerando che il servizio Dazn è uno dei più costosi e meno affidabili d’Europa, e che la sua qualità di streaming — con buffering e blackout — è diventata leggendaria quanto i gol di Baggio.
Ma certo, il problema è la cultura digitale degli italiani, non i disservizi a 40 euro al mese.
Pirateria o malcontento di massa?
La verità, che nessuno nel calcio vuole ammettere, è che il “pezzotto” non è un hobby criminale, ma la risposta spontanea di un pubblico esasperato da abbonamenti multipli, costi insostenibili e servizi frammentati.
Per vedere tutta la Serie A, oggi, serve un abbonamento a Dazn, uno a Sky, uno a Now e un rosario di pazienza.
Eppure, anziché interrogarsi sul modello economico fallimentare del calcio televisivo, la Lega preferisce giocare al piccolo sceriffo: spedire diffide, contare i “pirati” e sognare di farsi risarcire da chi — ironia della sorte — guarda il prodotto che loro stessi non sanno più vendere.
Conclusione: il calcio è business, ma la legge non si inventa
Forse alla Serie A sfugge un concetto basilare: solo l’autorità giudiziaria può sanzionare.
Le aziende private, anche se si chiamano Dazn o Lega Calcio, non possono autoproclamarsi giudici e riscuotere multe “morali”.
Ma in tempi di crisi di abbonati e diritti TV in calo, sembra che vada bene tutto: pure fare cassa con la colpa altrui.
Chissà, magari presto arriverà anche l’abbonamento “anti-pirata”: 9,99 euro al mese per non ricevere lettere di Dazn.
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