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L’intelligenza artificiale ha fame di energia, e le reti elettriche iniziano a cedere

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Dietro l’immagine patinata dell’intelligenza artificiale che scrive testi, analizza dati e promette efficienza senza limiti, si nasconde una realtà molto più concreta e problematica. L’IA consuma enormi quantità di energia, e questa fame crescente sta mettendo sotto stress le reti elettriche di mezzo mondo. Dai grandi data center negli Stati Uniti fino alle strutture costruite nei climi tropicali del Sud-Est asiatico, la collisione tra espansione tecnologica rapidissima e infrastrutture elettriche obsolete sta diventando sempre più difficile da ignorare.

Server sempre più potenti, addestramento di modelli sempre più grandi e miniere di criptovalute che funzionano senza sosta stanno trasformando i data center nei nuovi colossi energivori dell’era digitale. Il problema non riguarda solo l’ambiente, ma anche la stabilità delle reti, il costo dell’elettricità e, in prospettiva, la sicurezza economica di interi Paesi. L’innovazione corre, ma l’energia fatica a starle dietro.

Dallo spazio emerge la verità: il calore come firma del consumo

La scala del problema è ormai così grande da essere visibile dallo spazio. Recentemente, i satelliti per immagini termiche della società britannica SatVu hanno immortalato un enorme campus di mining di Bitcoin a Rockdale, in Texas. L’immagine non mostra solo edifici, ma una vera e propria firma termica, indicatore diretto del consumo elettrico.

Secondo le stime, l’impianto assorbirebbe circa 700 megawatt, una quantità di energia paragonabile al fabbisogno di una piccola città. Non si tratta di un’eccezione isolata, ma di un esempio emblematico di una tendenza globale: data center, infrastrutture per l’IA e criptovalute stanno ridefinendo la mappa dei grandi consumatori industriali di elettricità.

Queste immagini hanno un valore simbolico potente. Mostrano che il digitale non è etereo né immateriale, ma lascia un’impronta fisica misurabile, fatta di calore, cavi, trasformatori e centrali elettriche che devono reggere carichi sempre più estremi.

Costruire data center dove il caldo non perdona

A rendere la situazione ancora più critica è la posizione geografica di molte nuove strutture. Un’analisi pubblicata da Rest of World, basata su dati aggiornati alla fine del 2025, ha messo in relazione migliaia di data center con le temperature medie dei luoghi in cui operano. Il risultato è allarmante.

Lo standard industriale indica che i server funzionano in modo efficiente tra i 18 e i 27 gradi. Eppure, per rispettare leggi sulla sovranità dei dati o per servire mercati locali in rapida crescita, centinaia di data center vengono costruiti in aree molto più calde. In Paesi come Singapore, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti, ogni singola struttura opera in ambienti con temperature medie annue superiori ai livelli raccomandati.

Il caso di Singapore è particolarmente emblematico. Già nel 2020 i data center assorbivano circa il 7% dell’elettricità nazionale, una quota che potrebbe salire al 12% entro il 2030 se non verranno introdotte misure correttive. In questi contesti, il raffreddamento diventa un incubo energetico, aggravando reti già fragili, come dimostrano i problemi ricorrenti in alcune regioni dell’India e dell’Africa.

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Negli Stati Uniti la rete lancia l’allarme

Le conseguenze di questa pressione non sono solo teoriche. Negli Stati Uniti, il gestore della rete PJM Interconnection, che copre 13 stati e Washington DC, ha lanciato avvertimenti sempre più espliciti. La crescita esplosiva dei data center sta coincidendo con la chiusura di centrali a combustibili fossili e con l’integrazione di fonti rinnovabili intermittenti, rendendo l’equilibrio della rete estremamente delicato.

Il problema è emerso con forza durante una recente asta di capacità, in cui i costi sono schizzati fino a 14,7 miliardi di dollari. Un aumento attribuito in gran parte alla necessità di garantire energia affidabile ai data center. Il messaggio è chiaro: una rete sovraccarica significa blackout potenziali, bollette più alte e rischi per la sicurezza nazionale.

In questo scenario, l’intelligenza artificiale non appare più solo come un’opportunità economica, ma anche come un fattore di stress sistemico che può rallentare, anziché accelerare, il progresso.

Raffreddare l’IA per salvare la rete

Di fronte a questi limiti fisici ed economici, il settore tecnologico sta cercando soluzioni. Il tradizionale modello di data center raffreddato ad aria è sempre più visto come insostenibile, soprattutto nei climi caldi. Progetti sperimentali come il Sustainable Tropical Data Centre Testbed di Singapore stanno esplorando tecniche avanzate, tra cui il raffreddamento a liquido diretto sui chip e quello a immersione, capaci di ridurre i consumi energetici in modo significativo.

Anche i giganti del settore, come Google, Microsoft e Amazon, stanno investendo in architetture di raffreddamento più efficienti e in sistemi di gestione energetica basati sull’IA stessa. Parallelamente, regolatori e gestori di rete spingono i grandi data center a produrre energia in loco, riducendo la dipendenza dalla rete pubblica.

Il futuro digitale dipenderà dalla capacità di trovare un equilibrio. L’intelligenza artificiale promette enormi benefici, ma senza una rete elettrica stabile e sostenibile rischia di diventare il suo stesso limite. Le immagini termiche viste dallo spazio ci ricordano che ogni byte elaborato ha un costo fisico. E ignorarlo potrebbe avere conseguenze ben più concrete di quanto molti siano disposti ad ammettere.

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