L’istruzione digitale è una trappola? L’altra faccia di IA e blockchain nelle scuole

In nome del progresso, l’intelligenza artificiale e la blockchain stanno scardinando i sistemi educativi di tutto il mondo. Promettono accesso gratuito, certificati digitali e apprendimento su misura, ma rischiano di consegnare l’intera istruzione globale nelle mani delle Big Tech. E mentre milioni di studenti vengono attratti da piattaforme futuristiche, l’impronta ambientale e il potere concentrato nelle mani di pochi stanno generando preoccupazioni sempre più fondate.
Le nuove scuole? Digitali, automatizzate e senza professori
La rivoluzione è già in atto. Progetti come la Futureproof Music School usano l’intelligenza artificiale per adattare le lezioni in tempo reale, mentre Open Campus punta a sostituire i diplomi cartacei con archivi blockchain immutabili e universali. Tutto comodo, tutto trasparente. Ma anche totalmente centralizzato.
Persino il cofondatore di Binance, CZ, si è lanciato nell’arena con Giggle Academy, una scuola online gratuita che sfrutta contenuti generati da IA con l’obiettivo (dichiarato) di raggiungere un miliardo di studenti. Ma chi controlla gli algoritmi che decidono cosa e come impariamo?
Blockchain: trasparenza o trappola digitale?
I sostenitori parlano di “rivoluzione democratica dell’istruzione”. In teoria, un certificato archiviato su blockchain è incorruttibile e verificabile ovunque nel mondo. In pratica, significa anche che il tuo titolo di studio è nelle mani di una rete che nessuno può modificare… nemmeno tu.
In alcune zone del mondo, come l’India o gli Emirati Arabi, sono già in corso test per digitalizzare identità e diplomi. Con smart contract che automatizzano pagamenti e iscrizioni, l’amministrazione scolastica rischia di diventare solo un ricordo… o un algoritmo.

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L’altro lato della medaglia: un futuro scolastico a emissioni elevate
Questa corsa all’innovazione ha un prezzo salato: l’ambiente. Secondo l’Università del Massachusetts, un singolo set di dati per l’addestramento di IA può consumare quanto 5 case americane in un anno. I server devono essere raffreddati continuamente, spesso consumando le scarse riserve idriche locali. E i chip necessari richiedono terre rare, spesso estratte in condizioni devastanti per persone ed ecosistemi.
John Ternaski, dell’Università di Stanford, è chiaro: “Le Big Tech parlano di sostenibilità, ma i loro data center raccontano un’altra storia”. Anche gli attivisti temono un déjà-vu industriale: innovazione spinta, ma senza regole ambientali.
Serve una regolamentazione prima che sia troppo tardi
In ritardo rispetto all’ondata digitale, i governi tentano di recuperare terreno. Negli Stati Uniti si discute una legge per obbligare alla trasparenza sulle emissioni dei data center. In Europa, il Digital Education Act vuole imporre standard di sostenibilità alle piattaforme e-learning. Ma basterà?
La senatrice Lisa Murkowski ha lanciato l’allarme: “L’istruzione non deve diventare un altro monopolio delle Big Tech”. Propone incentivi pubblici per sviluppare IA alimentate da energia rinnovabile, ma nel frattempo il controllo resta nelle mani delle multinazionali.
Un futuro incerto: chi decide cosa studieremo e a quale prezzo?
Per un bambino in Kenya o un liceale in Kansas, una laurea verificabile su blockchain potrebbe essere un’ancora di salvezza. Ma se le piattaforme che la gestiscono consumano risorse, controllano contenuti e ignorano i governi, abbiamo davvero democratizzato l’educazione… o solo cambiato padrone?
La promessa è grande, il rischio anche. L’istruzione del futuro potrebbe essere accessibile, economica e digitale. Ma senza un controllo trasparente e un forte equilibrio tra innovazione e responsabilità, potremmo svegliarci in un mondo dove algoritmi decidono cosa impariamo e chi lo merita. E dove ogni diploma, ogni voto, ogni progresso… è solo un dato su una blockchain di cui non possediamo la chiave.
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