Minnesota contro TikTok: “Algoritmi che creano dipendenza e minacciano i giovani”

La guerra legale contro le Big Tech entra in una nuova fase. Il Minnesota ha intentato causa a TikTok, accusando la piattaforma di aver deliberatamente progettato i suoi algoritmi per rendere i giovani dipendenti, sacrificando la salute mentale di un’intera generazione in nome del profitto pubblicitario.
La strategia legale è chiara: niente discussioni sulla libertà di espressione, scudo tradizionale delle piattaforme. La causa viene inquadrata come un caso di tutela dei consumatori, denunciando pratiche commerciali ingannevoli e omissioni deliberatamente dannose. Secondo il Procuratore Generale Keith Ellison, TikTok conosce bene gli effetti psicologici nocivi del suo prodotto, ma sceglie di non intervenire pur di aumentare il tempo di permanenza degli utenti.
Il cuore del problema: l’algoritmo
Non un semplice “curatore di contenuti”, ma un motore predatorio di dopamina. L’algoritmo di TikTok analizza ogni interazione, anche le più banali, per costruire un flusso infinito di video iper-personalizzati. Il risultato? Una spirale compulsiva che i cervelli adolescenti fanno fatica a interrompere. Secondo la causa, non è un effetto collaterale: è il modello di business stesso di TikTok.
Il Minnesota si unisce a una coalizione di oltre venti stati americani che hanno già avviato cause simili. L’indagine nazionale iniziata nel 2022 ha mostrato che il problema non conosce confini politici: repubblicani e democratici sono concordi nel ritenere che l’autoregolamentazione sia fallita.
Durante la conferenza stampa, l’insegnante Sean Padden ha raccontato l’impatto devastante tra gli studenti: aumento di ansia, depressione, calo dell’attenzione e rabbia diffusa. Una generazione condizionata a ricercare gratificazione immediata in brevi clip, incapace di mantenere la concentrazione nello studio.
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Le richieste del Minnesota
Lo Stato chiede sanzioni fino a 25.000 dollari per ogni minore che ha usato TikTok nel Minnesota, oltre a un’ingiunzione permanente che costringa la piattaforma a cambiare radicalmente il suo design manipolativo.
L’azienda respinge le accuse come “fuorvianti”. Il portavoce Nathaniel Brown ha citato oltre 50 strumenti di sicurezza e il Family Pairing per il controllo parentale. Ma per molti osservatori queste sono solo “pezze” che non affrontano il vero problema: un algoritmo concepito per massimizzare l’ossessione.
Il caso del Minnesota non è isolato. Meta, Snapchat e Roblox sono già sotto accusa per strategie simili. È il sintomo di un settore che mette il profitto prima del benessere, con piattaforme che creano veri e propri meccanismi di dipendenza di massa.
Regolamentazione o libero mercato?
Da un lato le Big Tech parlano di innovazione e responsabilità genitoriale, dall’altro cresce il fronte che vede in questi prodotti un rischio paragonabile al tabacco o all’alcol, da regolare con la legge.
Il caso potrebbe diventare un precedente storico. Se gli stati vinceranno, nascerà un nuovo quadro normativo che obbligherà i social a ridisegnare le proprie piattaforme. Se invece TikTok avrà la meglio, il messaggio sarà chiaro: le Big Tech possono continuare a manipolare gli utenti senza conseguenze.
Non si tratta più di un dibattito sulla tecnologia, ma di una questione di salute pubblica. E la battaglia legale in Minnesota potrebbe decidere il futuro dei social media come li conosciamo.
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