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Nvidia crolla in Borsa mentre i chip AI di Google fanno tremare il mercato

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Per un anno intero Nvidia è stata la regina incontrastata dell’intelligenza artificiale. Il simbolo stesso della nuova corsa all’oro tecnologica. Poi, all’improvviso, in una singola giornata, 300 miliardi di dollari di valore sono svaniti nel nulla. Le azioni sono scese fino al 7% intraday, lasciando un’eco di panico a Wall Street e un’unica domanda: è arrivato finalmente un vero rivale?

Secondo gli analisti, la risposta è sì. E quel rivale ha un nome ben preciso: Google.

Il terremoto è iniziato con un semplice report: Alphabet starebbe spingendo sempre più clienti verso i suoi chip proprietari per l’IA, le famose TPU (Tensor Processing Units). La notizia ha colpito come uno shock elettrico. I titoli collegati a Nvidia — Oracle, Super Micro Computer e altri — sono crollati a catena. Al contrario, le azioni di Alphabet hanno toccato un nuovo record, un chiaro segnale che il mercato vede nei chip di Google una minaccia concreta al dominio Nvidia.

Non è solo una questione di hardware. È una questione di potere. Chi controlla i chip controlla l’IA. E chi controlla l’IA controlla il futuro.

Il ritorno (sorprendentemente aggressivo) dell’intelligenza artificiale di Google

La scintilla che ha acceso la polveriera è stata l’uscita del nuovo chatbot Gemini 3, alimentato direttamente dalle TPU di Google. Alcuni analisti lo considerano già superiore a ChatGPT basato sulle GPU Nvidia. Una sfida diretta, uno schiaffo simbolico al modello che per anni ha alimentato il boom dell’IA generativa.

Secondo Nomura, Gemini 3 ha “reimpostato completamente” le aspettative del mercato. E non è difficile capire perché.

Per anni Nvidia ha dominato grazie alle sue GPU versatili, capaci di gestire praticamente ogni tipo di carico AI. Ma i chip di Google sono un’altra cosa: ASIC specializzati, progettati per un numero ristretto di operazioni ma ottimizzati al millimetro. Veloci. Efficienti. E soprattutto alternativi.

Una minaccia esistenziale per Nvidia? Forse sì.

Soprattutto dopo un’indiscrezione devastante: Meta starebbe valutando di adottare TPU nei suoi data center entro il 2027. E qui la questione diventa seria. Meta sta investendo decine di miliardi l’anno in infrastrutture AI: se davvero decidesse di diversificare e ridurre la dipendenza da Nvidia, l’intero settore cambierebbe rotta in modo irreversibile.

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Nvidia in difesa: “Siamo una generazione avanti”

Nella rarissima postura di un gigante costretto a giustificarsi, Nvidia ha pubblicato un messaggio su X cercando di rassicurare il mercato. Prima ha lodato i progressi di Google («siamo felici del loro successo»), poi ha colpito dritto al punto: «Nvidia è una generazione avanti rispetto all’industria».

Un messaggio potente, ma anche rivelatore: Nvidia sta percependo la pressione. E non può permettersi di sembrare vulnerabile. La dipendenza quasi totale della Silicon Valley dalle sue GPU è stata finora un vantaggio monumentale. Ma se i clienti iniziano a capire che esistono alternative… lo scenario cambia.

E in fretta.

Una bolla pronta a scoppiare?

Il crollo delle azioni Nvidia ha riacceso un tema che molti fingevano di non vedere: la bolla dell’intelligenza artificiale. I timori non arrivano solo da analisti pessimisti. Persino la Banca d’Inghilterra ha avvertito che l’euforia attorno all’IA potrebbe trasformarsi in un rischio sistemico.

E gli eventi di questa settimana lo dimostrano: è bastato un report di Google, una semplice percezione di concorrenza, per far evaporare centinaia di miliardi di dollari.

È un promemoria brutale: nel mondo dell’IA non esistono certezze. Solo competizione feroce, cambi di rotta repentini e un mercato pronto a punire ogni segno di debolezza.

Il futuro dell’IA non si deciderà solo nei laboratori o nelle conferenze, ma nella battaglia industriale per costruire i chip che alimenteranno la prossima decade tecnologica. E questa settimana abbiamo capito che la guerra è appena iniziata.

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