OpenAI alle armi: l’intelligenza artificiale americana marcia verso la guerra

San Francisco non è più solo la culla dell’innovazione: è diventata anche il nuovo arsenale digitale del Pentagono. OpenAI, la creatura nata per “democratizzare” l’intelligenza artificiale, ha firmato un accordo da 200 milioni di dollari con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Un passo clamoroso che segna la definitiva rottura con il passato, quando l’azienda vietava l’uso della propria tecnologia a fini militari. Oggi, invece, ChatGPT e altri strumenti AI si preparano ad affiancare le forze armate nelle strategie belliche, nella sicurezza informatica e perfino nella logistica sanitaria per i veterani.
Questa svolta, annunciata il 16 giugno 2025, non è un semplice contratto: è un punto di non ritorno. Dietro la retorica della “sicurezza nazionale” e delle “applicazioni non letali”, si apre un inquietante capitolo in cui l’etica viene archiviata a favore dell’efficienza, della rapidità decisionale, e — naturalmente — del profitto.
La Silicon Valley indossa la mimetica
OpenAI, con la sua iniziativa “OpenAI for Government”, si presenta come il nuovo braccio destro dell’apparato militare USA. Il progetto è ufficialmente un “programma pilota”, ma la cifra in gioco e l’ambizione dichiarata parlano chiaro: l’obiettivo è trasformare l’azienda in un pilastro strategico della difesa americana.
Non si tratta di una mossa isolata. Anche colossi come Palantir e Meta hanno già stretto alleanze con l’esercito. Non è un caso che i dirigenti di queste aziende abbiano recentemente indossato la divisa della Riserva dell’Esercito, partecipando attivamente alla revisione di tecnologie da campo di battaglia. Un gesto simbolico che racconta molto più di mille comunicati stampa: il confine tra industria tech e macchina bellica si sta assottigliando fino quasi a scomparire.
L’etica sotto le macerie
Nel 2023, OpenAI si dichiarava contraria a ogni uso militare delle sue tecnologie. Due anni dopo, quel principio è evaporato. Sam Altman, CEO della società, ha giustificato la scelta come un “atto di orgoglio nazionale”. Ma davvero l’orgoglio basta a giustificare il rischio di mettere decisioni di vita o di morte nelle mani degli algoritmi?
Le rassicurazioni dell’azienda (“non svilupperemo armi autonome”) suonano deboli e vaghe. In un contesto militare, l’assistenza all’azione umana può trasformarsi facilmente in sostituzione, soprattutto quando l’IA promette efficienza, rapidità e zero esitazioni morali. Esattamente ciò che un esercito desidera sul campo.
Lo storico Patrick Wood ha lanciato l’allarme parlando di una “discesa pericolosa verso battaglie orchestrate dall’intelligenza artificiale”. Un monito che richiama alla memoria le polemiche del 2018, quando Google fu costretta a ritirarsi dal Progetto Maven dopo le proteste interne. OpenAI, al contrario, sembra oggi disposta a tutto per conquistare contratti federali, anche a costo di rinnegare i propri principi fondativi.

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Il lato oscuro del patriottismo tecnologico
Dietro l’entusiasmo per il progresso tecnologico si nasconde un nodo spinoso: la trasparenza. Il contratto tra OpenAI e il Dipartimento della Difesa è avvolto nel silenzio. Non è dato sapere quali saranno esattamente le applicazioni dell’IA sviluppata, né quali siano i limiti imposti. Sappiamo solo che tutto si svolgerà all’interno della National Capital Region, a Washington DC.
E qui le ombre si infittiscono. Senza vincoli chiari e senza meccanismi di controllo pubblico, qualunque progetto può trasformarsi in una macchina fuori controllo. Guerra informatica? Sorveglianza di massa? Classificazione dei cittadini in base a profili predittivi? Le possibilità sono infinite, e pericolosamente realistiche.
Il deputato repubblicano Mike Waltz ha criticato apertamente l’accordo: “I soldi dei contribuenti meritano più delle solite vaghe promesse. Serve trasparenza, servono verifiche”. La sua denuncia si inserisce in un contesto sempre più inquietante, dove anche progetti da 500 miliardi di dollari come “Stargate” — un’altra iniziativa AI di OpenAI — restano blindati e impenetrabili.
Una corsa agli armamenti in chiave algoritmica
Nel XXI secolo, la potenza militare non si misura più solo in carri armati e missili, ma in potenza di calcolo, apprendimento automatico e reti neurali. Gli Stati Uniti vedono nell’IA un’arma decisiva per contrastare l’avanzata tecnologica cinese, e OpenAI è stata arruolata per correre in testa.
Ma il prezzo di questa corsa rischia di essere altissimo: il controllo democratico vacilla, il dibattito pubblico viene anestetizzato dal patriottismo digitale, e il destino della guerra viene scritto non più dai generali, ma dai programmatori e dai loro datori di lavoro.
Il contratto da 200 milioni di dollari tra OpenAI e il Pentagono è il simbolo perfetto di questo nuovo ordine. Un’alleanza tra cervelli e missili, tra codice e munizioni. Una strada che forse porterà a una maggiore “efficienza”, ma che rischia anche di svuotare l’etica e la responsabilità umana in nome della performance.
E quando tutto diventa questione di calcolo, anche la guerra diventa un algoritmo.
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