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Oxford: l’intelligenza artificiale accelera il pensiero, ma lo rende più superficiale

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Le reti neurali stanno cambiando il modo in cui pensiamo — letteralmente. Una nuova ricerca dell’Università di Oxford rivela che l’uso costante dell’intelligenza artificiale da parte degli studenti aumenta la velocità mentale, ma riduce la profondità del pensiero critico e dell’autonomia cognitiva.

In altre parole: l’IA ci fa “pensare più in fretta”, ma anche “pensare meno”.

L’IA come stampella cognitiva

Secondo il rapporto pubblicato dalla Oxford University Press, 8 adolescenti su 10 tra i 13 e i 18 anni nel Regno Unito utilizzano regolarmente strumenti basati su IA per studiare o fare i compiti.
Quasi tutti gli intervistati ammettono di affidarsi a ChatGPT, Gemini o modelli simili per cercare informazioni, scrivere testi e risolvere problemi matematici.

La sensazione generale è positiva: il 70% afferma che la tecnologia li aiuta a ragionare più rapidamente e a risolvere problemi complessi con meno sforzo. Tuttavia, dietro questa efficienza si nasconde una tendenza inquietante.

Quando il cervello smette di dubitare

Il 60% degli studenti intervistati ha notato che l’uso continuo dell’IA riduce la capacità di concentrazione e di analisi profonda.
Uno su quattro confessa che studiare con l’IA “rende tutto troppo facile”, portando a una comprensione più superficiale dei concetti.

“I ragazzi stanno sviluppando un pensiero più fluido, ma meno riflessivo. L’IA li abitua a risposte immediate, eliminando la pausa del dubbio e la fatica dell’elaborazione personale”,
spiega Erika Galea, direttrice del Centro Europeo di Neuroeducazione.

Gli scienziati chiamano questo fenomeno “synthetic thinking”, o pensiero sintetico: una forma di intelligenza accelerata e produttiva, ma scollegata dalla riflessione lenta, quella che stimola la creatività e la capacità critica.

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Lo studio di Oxford non demonizza la tecnologia, ma invita a una riflessione urgente sul modo in cui viene integrata nell’apprendimento.
Nell’era dell’IA, non si tratta più solo di “usare strumenti digitali”, ma di capire come questi strumenti influenzano la mente umana.

Gli autori del rapporto chiedono di ripensare i modelli educativi, ponendo al centro una domanda fondamentale:

“Perché una persona studia davvero?”

Oggi, gli algoritmi non si limitano ad assistere gli studenti: modellano il loro stesso modo di pensare, definendo il ritmo, la direzione e perfino la logica dei processi mentali.

Un futuro in cui pensare “a mano” sarà un atto di resistenza

Se l’IA continuerà a evolversi come supporto cognitivo onnipresente, la sfida del prossimo decennio potrebbe essere difendere la lentezza del pensiero umano.
Il rischio, secondo i ricercatori, è che la mente si adatti a processare informazioni come una macchina, perdendo la capacità di contemplare, dubitare e creare.

In un mondo che ci spinge a ragionare alla velocità delle reti neurali, pensare lentamente potrebbe diventare il vero segno di intelligenza.

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