Pirateria e abbonamenti: il paradosso di DAZN, Sky e le piattaforme streaming

La guerra alla pirateria continua a monopolizzare l’agenda delle grandi piattaforme televisive e di streaming. DAZN e Sky, in Italia, sono i simboli di questa battaglia a colpi di denunce, blocchi DNS, sequestri e campagne istituzionali contro i “furbetti dello streaming”. Un discorso analogo vale per Netflix, Prime Video, Disney Plus e tutte le altre realtà globali che ogni anno investono milioni nella repressione della visione illegale di film, serie ed eventi sportivi.
Eppure, c’è un dato che nessuno di questi colossi sembra voler affrontare seriamente: il problema non è solo la pirateria, ma la frammentazione dei contenuti e i prezzi sempre più fuori controllo.
Prezzi alti e troppi abbonamenti: la vera radice del problema
Oggi per seguire tutto il calcio italiano e internazionale, tra Serie A, Champions League, Europa League, Premier League e La Liga, un appassionato deve mettere mano al portafoglio in modo spropositato. DAZN da sola costa oltre 40 euro al mese, Sky ha i suoi pacchetti sport, e se ci aggiungiamo Now TV, Infinity+ e altre opzioni, si arriva tranquillamente a superare i 100 euro mensili.
Lo stesso discorso vale per lo streaming on demand: Netflix aumenta periodicamente i prezzi, Prime Video ha introdotto pubblicità nonostante l’abbonamento, Disney Plus è raddoppiato nel giro di pochi anni. Se una famiglia volesse abbonarsi a tutte le piattaforme per avere accesso completo a serie, film e sport, la spesa diventerebbe insostenibile.
Non sorprende che una fetta di utenti scelga le scorciatoie illegali: non per avidità, ma perché il modello attuale ha superato il limite della sostenibilità economica.
Piracy Shield e blocchi: un fallimento annunciato
In Italia, il cosiddetto “Piracy Shield” è il fiore all’occhiello della crociata anti-pirateria. In teoria dovrebbe bloccare in tempo reale i siti illegali che trasmettono partite e contenuti protetti. Per farla breve, è un sistema che crea più disagi ai cittadini che benefici reali ai broadcaster.
Il rischio di blocchi ingiustificati, di sovrapposizioni con siti legittimi e l’inevitabile corsa degli utenti e dei pirati a nuovi domini rende il sistema una rincorsa senza fine. È come cercare di svuotare il mare con un cucchiaino: per ogni sito chiuso, ne spuntano tre nuovi.
Intanto, Sky e DAZN continuano a spendere milioni in avvocati e tecnologia, senza mai porsi la domanda più ovvia: se così tante persone cercano alternative illegali, forse non è un problema di legalità, ma di accessibilità.

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Il pacchetto unico: la soluzione che nessuno vuole
Il paradosso è evidente: i colossi dell’intrattenimento preferiscono reprimere piuttosto che innovare. La vera rivoluzione sarebbe offrire un pacchetto unico, accessibile e trasparente, che includa sport, cinema e serie TV a un prezzo equo.
Un modello “alla Spotify”, che ha saputo trasformare la musica da settore devastato dalla pirateria a industria nuovamente redditizia, potrebbe funzionare anche per lo sport e l’intrattenimento video. Ma qui c’è un problema di ego e interessi: nessuno vuole cedere un pezzo del proprio monopolio.
Così l’utente si trova costretto a fare una scelta assurda: o paga più di una bolletta della luce per guardare le proprie passioni, o si affida a vie alternative con tutti i rischi del caso.
Il futuro dello streaming: repressione o innovazione?
Se la strategia resterà quella di inseguire i pirati con multe e tecnologie invasive, la pirateria non scomparirà mai. Al contrario, diventerà sempre più radicata, perché risponde a una necessità reale: accedere a contenuti senza essere spremuti come limoni.
La domanda allora non è come fermare la pirateria, ma come rendere inutile la sua esistenza. Prezzi equi, meno frammentazione, più attenzione al consumatore: questa sarebbe la vera arma vincente.
Fino a quando DAZN, Sky, Netflix e soci continueranno a preferire il pugno duro al buon senso, la pirateria resterà non solo viva, ma inevitabilmente giustificata agli occhi di molti.
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