News

Strategia antipirateria in crisi: l’UE ammette di non riuscire a fermare lo streaming illegale

Condividi l'articolo

La Commissione europea ha finalmente pubblicato la valutazione della raccomandazione antipirateria del 2023, e il risultato è tutto fuorché rassicurante. Dopo quasi tre anni, l’UE riconosce che l’impatto reale delle misure adottate è stato minimo, quasi simbolico. Per i titolari dei diritti che da anni chiedono un intervento rapido e incisivo, questa ammissione è più una frustrazione che un traguardo. È l’ennesima conferma che le misure morbide, non vincolanti, non sono mai state all’altezza di un fenomeno che cresce in velocità, aggressività e capacità tecniche.

La storia è nota. Per anni la Premier League, Sky, LaLiga, la Serie A e l’intero settore dei media hanno chiesto alla Commissione europea di adottare strumenti legislativi duri, capaci di colpire i fornitori di streaming illegale con la stessa rapidità con cui proliferano. Ma l’UE ha scelto un’altra strada, preferendo un approccio “soft”, basato su raccomandazioni e collaborazioni volontarie. Il risultato è oggi fin troppo evidente: la pirateria non è diminuita, la cooperazione tra intermediari rimane claudicante e i flussi illegali continuano a circolare senza sosta durante gli eventi sportivi dal vivo — proprio il settore più vulnerabile.

La raccomandazione del 2023 prometteva molto, ma si è rivelata troppo debole

Quando nel maggio 2023 Bruxelles pubblicò il documento che doveva segnare un cambio di passo nella lotta alla pirateria sportiva, l’impianto era teoricamente solido. Si chiedeva alle piattaforme online di rimuovere rapidamente i contenuti illegali, si incoraggiava la cooperazione con i titolari dei diritti, si parlava di ingiunzioni dinamiche e si ricordava l’importanza di rafforzare le alternative legali. Ma fin dal primo giorno era chiaro che mancava il pezzo più importante: l’obbligatorietà. Tutto era incorniciato come “consiglio”, “invito”, “raccomandazione”. Nessun obbligo, nessuna sanzione, nessun meccanismo automatico.

Ora la Commissione ammette che il sistema di rimozioni rapide funziona solo dove il DSA ha imposto responsabilità severe, cioè sulle grandi piattaforme. Meta, YouTube, TikTok e gli altri colossi digitali rispondono con tempi relativamente buoni perché costretti dalla legge. Ma tutto crolla quando la palla passa ai server dedicati, ai provider di hosting, alle CDN e ai proxy usati sistematicamente dai pirati. Le risposte diventano lente, imprevedibili, inaffidabili. È proprio in questi spazi meno regolamentati che si rifugia oggi la pirateria sportiva, e l’UE lo riconosce apertamente.

Leggi anche:

Tra ingiunzioni inefficaci, cooperazione incompleta e offerte legali poco attraenti

La valutazione rivela un’Europa profondamente frammentata. Alcuni paesi hanno implementato ingiunzioni dinamiche sofisticate, capaci di bloccare interi flussi in pochi minuti. Altri non hanno alcun meccanismo funzionante. La Francia e il Belgio bloccano CDN e VPN sospette; la Spagna, insieme a LaLiga, sperimenta nuove forme di blocco; l’Italia ha iniziato a muoversi in ritardo con Piracy Shield e regolamenti tecnici. Ma manca una visione comune, una strategia davvero paneuropea. E infatti la Commissione lo dice chiaramente: i progressi sono stati irregolari, disomogenei, spesso più teorici che pratici.

Allo stesso tempo aumentano gli accordi di cooperazione tra titolari dei diritti e intermediari, ma sono ancora troppo manuali e troppo lenti per un settore in cui il valore di un contenuto si consuma nel giro di pochi minuti. Gran parte delle sospensioni dei flussi illegali avvengono all’interno di questi accordi volontari, ma il ritmo rimane lontano da ciò che servirebbe per proteggere uno sport dal vivo. La verità è che i pirati hanno automatizzato tutto; l’Europa ancora no.

E poi c’è il tema delle alternative legali, un fattore ignorato troppo a lungo. Gli utenti continuano a lamentare prezzi elevati, offerte frammentate, pacchetti incompleti e la necessità di sottoscrivere più abbonamenti per seguire una sola competizione. Anche su questo la Commissione prende atto della realtà: la disponibilità di servizi legali accessibili rimane insufficiente, i dati raccolti non permettono nemmeno una valutazione seria, e i consumatori non percepiscono miglioramenti concreti.

La conclusione è inevitabile: la pirateria non è diminuita e la strategia UE va ripensata da zero

La relazione finale della Commissione europea non lascia spazio alle interpretazioni. Nonostante piccoli segnali di miglioramento, la pirateria sportiva non è diminuita. I flussi illegali continuano a circolare, i server dedicati rispondono con lentezza, le CDN giocano un ruolo sempre più centrale e molti intermediari non sono nemmeno soggetti agli obblighi del Digital Services Act. La Commissione riconosce anche un’altra tensione irrisolta: gli intermediari non hanno alcun obbligo di monitorare contenuti illegali, ma i titolari dei diritti pretendono un intervento molto più aggressivo.
Il risultato? Un sistema giuridico bloccato tra tutele e richieste opposte, incapace di adattarsi alla velocità della pirateria moderna.

Nella conclusione del rapporto si avverte una certa rassegnazione. La raccomandazione del 2023 ha incentivato alcuni progressi, ma il suo impatto complessivo è stato limitato. La pirateria rimane dove è sempre stata: viva, attiva e in crescita. E finché Bruxelles continuerà a preferire raccomandazioni invece di regole, e consultazioni invece di decisioni, non cambierà nulla.

Fonte

Ti potrebbe interessare:
Segui guruhitech su:

Esprimi il tuo parere!

Che ne pensi di questa notizia? Lascia un commento nell’apposita sezione che trovi più in basso e se ti va, iscriviti alla newsletter.

Per qualsiasi domanda, informazione o assistenza nel mondo della tecnologia, puoi inviare una email all’indirizzo [email protected].


Scopri di più da GuruHiTech

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

0 0 voti
Article Rating
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più recenti
Vecchi Le più votate
Feedback in linea
Visualizza tutti i commenti