Cloudflare entra nella guerra ai siti pirata: migliaia di domini oscurati nel Regno Unito

Per anni il blocco dei siti pirata nel Regno Unito è stato un affare gestito quasi esclusivamente dagli operatori di rete. Nomoni come BT, Virgin Media, Sky, TalkTalk, EE e Plusnet sono diventati sinonimo di accessi negati, pagine di errore e link “non disponibili per motivi legali”. Ma, lo scorso mese, qualcosa è cambiato in silenzio: Cloudflare è scesa in campo.
Il colosso della sicurezza e dell’infrastruttura web ha iniziato a bloccare domini già colpiti da ordini dell’Alta Corte di Londra, ottenuti anni fa dagli studios di Hollywood. All’inizio si parlava di “un paio di centinaia di siti”. Una stima prudente. Oggi, le nuove informazioni raccontano tutt’altro scenario: oltre mille domini bloccati. E non è escluso che il numero reale sia il doppio.
L’errore 451 e i documenti legali
Chi ha provato a visitare un sito di streaming pirata protetto da Cloudflare nelle ultime settimane si è trovato davanti a un messaggio chiaro: Errore 451 – Non disponibile per motivi legali. Non un semplice “pagina non trovata”, ma un blocco su base giuridica.
Per essere trasparente, Cloudflare aggiunge persino un link alla documentazione legale collegata al blocco, che rimanda alle ingiunzioni emesse in passato contro quegli stessi domini. Niente di nuovo? Forse sì: quegli ordini non erano mai stati rivolti direttamente a Cloudflare.
E qui nasce il dubbio. La Corte ha esteso ufficialmente le vecchie ingiunzioni a Cloudflare? Oppure l’azienda sta agendo di propria iniziativa, collaborando “volontariamente” con gli studios? Nel Regno Unito, un blocco volontario da parte di un intermediario sarebbe una mossa quasi rivoluzionaria.

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Un iceberg di domini bloccati
Guardando i documenti pubblici, il numero dei domini indicati sembra modesto: poche decine per ingiunzione. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Nel corso degli anni, alle liste originali sono stati aggiunti centinaia di nuovi indirizzi, molti dei quali non compaiono in alcun documento ufficiale.
Parliamo di oltre 700 domini legati a “123movies”, circa 400 con “fmovies”, più di 150 con “Putlocker” e decine di altri marchi pirata noti. Solo ad agosto, un nuovo round di blocchi ha aggiunto più di 100 domini e sottodomini alla lista nera.
Il problema? Non sempre tutto funziona come dovrebbe. Alcuni siti bloccati mostrano messaggi d’errore che nulla hanno a che fare con l’ingiunzione, segno che il sistema, per quanto massiccio, non è impeccabile.

Trasparenza (quasi) zero
La questione più spinosa resta la totale mancanza di trasparenza. Una volta emesso l’ordine, cala il sipario: non c’è un elenco aggiornato dei domini bloccati, né informazioni pubbliche su chi abbia chiesto il blocco e per quale motivo.
Sulla carta, chi ritiene di essere stato bloccato ingiustamente può rivolgersi al tribunale per chiedere la rimozione dal blocco. Ma, nella pratica, capire se si è stati colpiti per errore e individuare il responsabile è un’impresa quasi impossibile.
Il paradosso: basta una modifica al browser
E poi c’è il grande paradosso. Mentre si spendono milioni per creare e far rispettare questi blocchi, basta cambiare una singola impostazione del browser per aggirarli in pochi secondi. Un colpo basso per tutti coloro che vedono nel blocco dei siti uno strumento decisivo nella lotta alla pirateria.
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