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Il grande fratello del tempo libero: la sorveglianza biometrica si insinua nello sport e nell’intrattenimento

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Non servono più aeroporti o posti di blocco: la sorveglianza biometrica è entrata in campo. Letteralmente. Dalle buche dell’US Open alle tribune dell’NBA, il riconoscimento facciale si sta insinuando con discrezione negli spazi di svago, trasformando eventi sportivi e spettacoli in veri e propri laboratori di sorveglianza di massa.

Durante l’US Open a Oakmont, in Pennsylvania, la USGA ha ampliato senza clamore l’uso della scansione facciale per l’ingresso agli eventi. Niente più biglietti da mostrare: basta registrare il proprio volto in anticipo. Grazie alla collaborazione con FortressGB e Wicket, l’accesso è diventato “più fluido”, certo… ma anche più invadente.

La retorica della comodità maschera un processo ben più profondo: la normalizzazione del riconoscimento facciale in luoghi dove un tempo anonimato e privacy erano scontati.

Lo sport come laboratorio della sorveglianza

Dall’altra costa, i Los Angeles Clippers si preparano ad aprire l’Intuit Dome, un’arena futuristica che porta il concetto di “esperienza del fan” a un nuovo, inquietante livello. Dietro il progetto c’è Steve Ballmer, ex CEO di Microsoft, oggi padrone dei Clippers, che ha affidato la gestione a Halo Sports and Entertainment. Ma qui non si parla solo di riconoscere i volti all’ingresso.

L’impianto monitorerà l’entusiasmo del pubblico tramite i livelli sonori dei singoli posti, personalizzerà le schermate di benvenuto in base al volto di chi entra, e raccoglierà in tempo reale i dati comportamentali degli spettatori. Tutto questo nel nome di una “fan experience” iper-personalizzata. Ma a che prezzo?

Questi impianti, mascherati da paradisi dell’intrattenimento, stanno diventando banchi di prova per sistemi di sorveglianza sempre più invasivi. La promessa è sempre la stessa: velocità, efficienza, sicurezza. Ma la realtà è ben diversa.

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Un confine sempre più sfumato

La New York State Bar Association (NYSBA) ha recentemente lanciato l’allarme. In un articolo pubblicato nel giugno scorso, l’esperta legale Kylie Ruff ha messo nero su bianco ciò che molti sospettano: l’assenza totale di regole chiare sull’uso del riconoscimento facciale negli Stati Uniti.

L’elenco degli abusi già documentati è inquietante:

  • Il team di sicurezza di Taylor Swift ha usato scanner facciali per monitorare stalker… senza informare il pubblico.
  • La Madison Square Garden Entertainment ha impedito l’ingresso a una madre e sua figlia solo perché lavorava in uno studio legale “scomodo”. Nessun reato, solo ritorsione aziendale.

La verità? Negli USA, chi raccoglie e analizza i tuoi dati biometrici lo fa senza quasi alcuna supervisione. Solo alcuni stati (come l’Illinois o la California) impongono il consenso esplicito. Il resto del Paese è una giungla di “opt-out” nascosti, informative vaghe e diritti poco chiari.

Dal divertimento alla sorveglianza: senza accorgercene

Il problema più grave è proprio questo: non ce ne accorgiamo più. L’accesso “più veloce” ci sembra una comodità. Le personalizzazioni ci fanno sentire speciali. Ma dietro queste esperienze ci sono algoritmi che apprendono tutto di noi, spesso senza il nostro consenso reale.

E quando la sorveglianza si mimetizza dietro un concerto, una partita di basket o un torneo di golf, diventa quasi impossibile dire di no senza rinunciare alla vita sociale.

Siamo davvero pronti a barattare la nostra libertà per non dover più cercare il biglietto in tasca?

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