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Il lato oscuro degli influencer che fingono di salvare gli animali

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È il format “salva-cuori” che spopola nei feed: un animale in pericolo, un “eroe” che arriva all’ultimo secondo, milioni di visualizzazioni e via con i like. Peccato che in troppi casi la scena sia scritta, provata e messa in scena: l’animale è stato messo deliberatamente in pericolo per girare il video. A denunciarlo da anni sono inchieste giornalistiche come National Geographic, ONG e ricercatori: quello delle “fake rescue” è un vero filone di crudeltà travestita da buonismo virale.

La sceneggiatura della crudeltà

Il copione è ricorrente: animali intrappolati in fango, fili, reti o sacchi; cuccioli “miracolosamente” sottratti a serpenti; gattini o cagnolini “scoperti” in bidoni e fossi. In numerosi casi i creatori mettono loro stessi l’animale nella trappola e poi si filmano mentre lo “salvano”, puntando su pietà, shock e condivisioni. La Social Media Animal Cruelty Coalition (SMACC) ha documentato come queste messinscene causino paura, ferite e perfino la morte, mentre spettatori e piattaforme vengono raggirati dal travestimento del “gesto altruista”.

Fonte: smaccoalition.com

Numeri che fanno girare la testa (e i soldi)

Il fenomeno non è marginale. World Animal Protection ha contato oltre 180 video di finti salvataggi solo su YouTube tra il 2018 e il 2021; i 50 più visti hanno totalizzato 133,5 milioni di visualizzazioni. Nel 2024, un nuovo rapporto ha stimato oltre 572 milioni di visualizzazioni per i fake rescue su tutte le principali piattaforme: Facebook, Instagram, TikTok, YouTube e X. Tradotto: attenzione e monetizzazione per chi produce crudeltà travestita da contenuto “commovente”.

Fonte: worldanimalprotection.org

Le piattaforme lo vietano… ma i video restano

Sotto pressione, YouTube ha annunciato nel 2021 il divieto dei finti salvataggi. Eppure, inchieste successive hanno mostrato come i contenuti continuassero a circolare, ricaricati e riconfezionati, con un’applicazione delle regole lenta e incostante. Anche nel 2023 diverse indagini riferivano centinaia di video ancora online. In sintesi: policy sulla carta, enforcement a singhiozzo.

Perché ci caschiamo?

C’è anche un problema psicologico e culturale: gli studi sui comportamenti degli utenti mostrano che molti spettatori non distinguono (o non vogliono distinguere) tra rescue autentici e messinscene, e reagiscono con like e commenti entusiasti anche quando i segnali di staging sono evidenti. Il cortocircuito emotivo “pericolo → salvataggio → sollievo” funziona troppo bene.

Il video della donna che salva una capra dal fango, è stato ampiamente smentito da un altro video che immortala la stessa influencer che mette il povero animale nel fango.
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Come riconoscere (subito) un finto salvataggio

Le ONG che monitorano il fenomeno hanno messo a punto semplici check. Chiediti: la situazione è verosimile o sembra costruita per la telecamera? Vedi stessi luoghi, stessi animali, stesse trappole ricorrenti sul canale? La scena è ripresa da più angolazioni perfette anziché in modo spontaneo? C’è musica melodrammatica e sottotitoli “virali”, ma mancano dettagli su veterinari, autorità o rifugi coinvolti? Se rispondi “sì” a più domande, probabilmente è una messa in scena.

Non tutto è falso (e i veri soccorritori esistono)

Attenzione: molti salvataggi sono reali e chi lavora in rifugi, protezioni civili, corpi forestali o vigili del fuoco rischia davvero per gli animali. Ma proprio per tutelare loro – e soprattutto gli animali – è essenziale non premiare i truffatori dell’empatia che manipolano la sofferenza per far cassa.

Perché è pericoloso (oltre che ripugnante)

Al di là dell’inganno, i fake rescue normalizzano la violenza: mettono in scena attacchi tra specie, demonizzano predatori naturali, abituano il pubblico – bambini compresi – a contenuti crudeli spacciati per intrattenimento “positivo”. La spettacolarizzazione dell’abuso genera un mercato dove più è scioccante la trappola, più si guadagna.

Cosa possiamo fare (subito)

  1. Non condividere acriticamente: se un video sembra troppo perfetto, probabilmente lo è.
  2. Segnala i contenuti sospetti alle piattaforme: molte hanno canali dedicati all’abuso di animali; serve usarli.
  3. Cerca riscontri: un vero salvataggio lascia tracce – nominativi di veterinari, rifugi, interventi delle autorità, contatti verificabili.
  4. Sostieni chi combatte il fenomeno: SMACC, World Animal Protection e altre reti pubblicano guide e report per riconoscere e contrastare i fake rescue.

Smascherare i “buoni” di cartone

Gli influencer che mettono in scena la sofferenza di un animale per un pugno di like non sono “salvatori”: sono registi di crudeltà. Il loro “eroismo” è un set, il loro altruismo un business, la loro viralità un danno reale. La buona notizia? Il pubblico ha un potere enorme: togliendo loro l’ossigeno delle visualizzazioni e pretendendo verifiche serie, possiamo far crollare questo teatrino. E restituire la parola “salvataggio” a chi la onora davvero, senza lucrare sulla vulnerabilità di chi non può difendersi.

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