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L’algoritmo che riconosce un volto anche dopo 60 anni: l’AI che sfida il tempo (e la privacy)

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Riusciresti a riconoscere una persona da una foto scattata sessant’anni fa? Probabilmente no. E nemmeno il miglior investigatore con occhi allenati ci riuscirebbe senza incertezze. Ma a quanto pare, l’intelligenza artificiale può farlo, e con una precisione inquietante.

Lo ha raccontato Alexey Palamarchuk, CEO della società russa NtechLab, specializzata in sistemi di riconoscimento facciale basati sull’AI, durante un’intervista a Gazeta.Ru. Secondo quanto spiegato, l’algoritmo sviluppato dalla sua azienda è in grado di identificare una persona anche se la fotografia a disposizione risale a decenni fa. E non si tratta di una semplice corrispondenza approssimativa, ma di un sistema capace di elaborare simultaneamente centinaia di migliaia di immagini per trovare il volto giusto, anche quando il tempo ha trasformato i lineamenti.

Un volto, una mappa matematica

A rendere possibile tutto questo è un modello vettoriale estremamente sofisticato. Ogni volto, spiega Palamarchuk, viene convertito in una sorta di impronta digitale matematica, una rappresentazione fatta di vettori, cioè coordinate numeriche che descrivono i rapporti tra gli elementi del viso.

E non serve nemmeno che l’intero volto sia visibile. Anche se la persona indossa un cappello, occhiali da sole, ha la barba, o si mostra solo parzialmente all’obiettivo, il sistema è comunque in grado di identificarla. Basta che sia visibile una parte coerente con i vettori noti, e il confronto può andare a segno.

“L’occhio umano non è in grado di stabilire se un bambino di 10 anni assomiglierà a un settantenne, ma l’intelligenza artificiale può farlo” – afferma Palamarchuk.

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Non è magia, ma potenza di calcolo

Il cuore del sistema di NtechLab non è tanto l’accesso al database (che, come sottolinea l’azienda, resta sempre in mano al cliente), quanto la capacità di elaborazione simultanea e l’adattamento continuo dei modelli. In pratica, l’AI non confronta solo tratti visivi, ma costruisce connessioni statistiche tra età, morfologia, probabilità di trasformazione del volto e altri fattori.

Il risultato? L’algoritmo è in grado di dire con buona approssimazione se due immagini – anche scattate a distanza di decenni – rappresentano la stessa persona.

Oltre ogni travestimento

Cappelli, barbe finte, occhiali o mascherine? Per il sistema di NtechLab non sono un ostacolo credibile. Proprio perché la sua analisi non si basa solo su ciò che vede direttamente, ma sulla relazione tra i vettori sottostanti, ovvero quella “firma numerica” che caratterizza ogni viso in modo univoco.

Secondo Palamarchuk, l’idea che basti un travestimento per ingannare questi sistemi è ormai superata. “Parlare di occhiali, un cappello o una barba finta non è affatto serio”, ha detto, quasi a voler sottolineare quanto il riconoscimento facciale sia diventato un gioco che solo l’AI può vincere davvero.

Un’arma potente, tra innovazione e rischio

Se da un lato questa tecnologia apre scenari importanti per la sicurezza pubblica, le indagini forensi o il controllo degli accessi, dall’altro solleva anche interrogativi etici cruciali. In un mondo dove l’AI riesce a riconoscerti da una foto dell’infanzia o da un’inquadratura parziale, che fine fa la privacy?

Palamarchuk non affronta questo punto direttamente, ma è evidente che una tecnologia così potente nelle mani sbagliate potrebbe trasformarsi in uno strumento invasivo, capace di annullare l’anonimato in qualsiasi contesto pubblico.

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