LaLiga dichiara guerra alla pirateria: -60% durante El Clásico, ma il blocco solleva polemiche

LaLiga ha annunciato numeri da prima pagina: la pirateria online durante le partite del weekend sarebbe calata del 40%, con un picco del 60% in occasione di El Clásico, secondo quanto dichiarato a TorrentFreak. Un traguardo che l’organizzazione attribuisce alle nuove, aggressive politiche di blocco dei siti illegali. Ma dietro questi successi si cela una storia molto più complessa, fatta di accuse di overblocking, assenza di prove e rischi per la libertà online.
Un calo drastico… ma a che prezzo?
Secondo il presidente Javier Tebas, le nuove strategie di blocco adottate da LaLiga stanno dando frutti visibili: meno pirateria = più pubblico sui canali ufficiali, specialmente durante gli eventi di punta come le semifinali o El Clásico. Ma c’è un dettaglio non da poco: per ottenere questi risultati, LaLiga ha chiesto e ottenuto il blocco di oltre 130 siti legati allo streaming illegale… inclusi numerosi indirizzi IP condivisi tramite Cloudflare, una rete usata anche da milioni di siti innocui.
Bloccare Cloudflare: una mossa senza precedenti
Secondo LaLiga, la decisione di bloccare interi indirizzi IP condivisi tra centinaia o migliaia di domini è pienamente legittima. L’ordinanza del tribunale lo permette, spiegano. E in effetti, il testo sembra confermare che l’obiettivo era chiaro: colpire con forza i nodi della pirateria. Ma la domanda resta: quanto è davvero proporzionata questa misura?
Alcune stime parlano di oltre due milioni di siti potenzialmente coinvolti nel blocco, pur non essendo in alcun modo legati alla pirateria. Eppure, LaLiga sostiene di non aver ricevuto nemmeno un reclamo formale: nessuna email, nessuna segnalazione tecnica, niente. “Segno che il sistema funziona”, dicono.

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Nessuna prova dell’overblocking, almeno per ora
Nel marzo scorso, sia Cloudflare che l’evento tech RootedCON hanno provato a opporsi in tribunale al blocco imposto da LaLiga. Nessuno dei due ha avuto successo: mancavano prove sufficienti di danni concreti a soggetti terzi. Il giudice ha risposto che senza numeri, nomi e impatti misurabili, l’intervento della Liga può andare avanti.
LaLiga, dal canto suo, si dice cauta: ogni blocco è preceduto da una valutazione di impatto, giurano. Eppure, mentre in altri Paesi i blocchi IP sono applicati con estrema attenzione, in Spagna si agisce in modo molto più diretto.
Diritti vs diritti: chi ha ragione?
La questione è delicata. Da un lato, i titolari dei diritti hanno tutto l’interesse a proteggere i propri contenuti, specie dopo investimenti multimiliardari (come quello di Telefónica per i diritti TV de LaLiga). Dall’altro, c’è il rischio concreto di danneggiare servizi legittimi, siti aziendali o addirittura piccole realtà che condividono lo stesso IP con i pirati.
È giusto sacrificare la precisione in nome dell’efficacia?
Il futuro del blocco: modello da seguire o errore da non ripetere?
Secondo Tebas, l’ordinanza del tribunale spagnolo rappresenta un esempio da seguire a livello europeo, anzi mondiale. Il suo appello a UEFA e leghe nazionali è chiaro: serve unità, serve decisione, serve più fermezza contro la pirateria.
Ma la vera domanda è: quanto è sostenibile un approccio che blocca tutto, pur di colpire qualcuno?
Per ora, LaLiga è soddisfatta dei risultati. Ma il dibattito sul bilanciamento tra protezione dei contenuti e libertà digitale è solo all’inizio.
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