L’Europa dichiara guerra alla libertà online: il codice anti-disinformazione diventa censura di Stato

L’Unione Europea ha appena compiuto un clamoroso passo verso un futuro digitale distopico. Il codice volontario contro la disinformazione, un tempo simbolo di cooperazione tra istituzioni e Big Tech, è stato trasformato in un meccanismo coercitivo grazie al Digital Services Act (DSA). In nome della “sicurezza online”, Bruxelles impone ora il controllo sistematico dei contenuti digitali, scatenando un’ondata di accuse: censura mascherata, sorveglianza autoritaria, e libertà d’espressione sotto assedio.
Dalla collaborazione al controllo totale
Dal 2018 l’UE promuoveva un codice “volontario” contro le fake news. Oggi, chi non si adegua rischia pesanti sanzioni. La retorica è rimasta la stessa, ma i fatti raccontano un’altra storia: le piattaforme online devono rimuovere tutto ciò che l’UE etichetta come “disinformazione” — un termine volutamente vago — pena multe salatissime. Facebook, YouTube, X (ex Twitter) e altre piattaforme sono sotto minaccia costante: o censuri, o paghi.
Un portavoce della Commissione Europea ha dichiarato senza vergogna: “Il codice è volontario, il DSA no”. Un controsenso che certifica il passaggio dalla persuasione alla repressione.
La libertà di parola come vittima collaterale
Dietro la facciata della “gestione del rischio”, si nasconde la reale intenzione: mettere a tacere le opinioni scomode. I colossi tecnologici sono costretti a sottoporsi a controlli algoritmici, audit esterni e sorveglianza capillare dei contenuti. E non si salvano nemmeno i piccoli: entro febbraio, anche piattaforme di dimensioni inferiori dovranno adeguarsi.
Negli Stati Uniti, la mossa ha fatto infuriare i legislatori. I repubblicani denunciano un attacco diretto alla libertà d’espressione, paragonandolo alla famigerata tassa digitale canadese bocciata dopo le proteste di Washington. Meta e altre aziende americane temono una deriva europea che mette in discussione il cuore stesso della democrazia liberale.

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Algoritmi conformi, dissenso eliminato
Il DSA impone alle “Very Large Online Platforms” (VLOP) regole ferree: dovranno dimostrare di contrastare la disinformazione, pena l’intervento diretto delle autorità. Ma chi decide cosa è vero e cosa no? E, soprattutto, chi sorveglia i sorveglianti?
Le nuove proposte legislative dell’UE puntano anche a estendere il controllo su piattaforme video come YouTube e TikTok, equiparando i creatori di contenuti indipendenti alle emittenti pubbliche. Un’operazione che mette a rischio l’intero ecosistema dell’informazione alternativa.
Il vero obiettivo? Un web sterilizzato, dove il pluralismo significa solo aderire alla narrativa dominante, e ogni voce fuori dal coro viene silenziata.
Il pericolo nascosto: la legge marziale digitale
Il meccanismo più inquietante del DSA è il cosiddetto “trigger di crisi”: in situazioni di emergenza — definite arbitrariamente — la Commissione potrà attivare una sorta di legge marziale digitale. Social network, motori di ricerca e marketplace saranno costretti a eseguire ordini di censura senza passare per il vaglio democratico degli Stati membri.
Ursula von der Leyen potrà agire in autonomia, bypassando il Parlamento e ogni forma di trasparenza. È successo già: la norma è stata approvata con un voto notturno, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica. E l’esperienza del COVID e della guerra in Ucraina ci ha già mostrato quanto facilmente le Big Tech possano piegarsi a queste logiche.
Stiamo cedendo l’internet ai burocrati
Dietro la maschera della “tutela dei cittadini”, l’Europa sta codificando una stretta autoritaria senza precedenti. Il web rischia di diventare uno spazio sorvegliato, dove solo i contenuti approvati sopravvivono. La transizione è già in atto: non siamo più liberi cittadini digitali, ma utenti sotto controllo.
Il rischio è chiaro: stiamo costruendo un’Unione della censura, non della libertà. E senza una reazione forte, la prossima “disinformazione” da eliminare potrebbe essere semplicemente un’opinione scomoda.
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