Identità digitale UE: strumento di semplificazione o cavallo di Troia per la sorveglianza?

Il Wallet europeo promette efficienza, ma in cambio chiede la nostra privacy
Mentre Bruxelles spinge verso l’adozione obbligatoria del Portafoglio di Identità Digitale entro il 2027, cresce il timore che dietro la patina di modernità e comodità si nasconda un sistema centralizzato pronto a sacrificare la libertà individuale sull’altare dell’efficienza.
Alla conferenza Money 2020 di Amsterdam, Marie Austenaa di Visa Europe ha lodato il Wallet come una “rivoluzione” per i servizi finanziari. Nella visione delle istituzioni, questo strumento unificherà documenti d’identità, patenti e conti bancari in un’unica app gestita dallo Stato. Il tutto in nome della semplificazione. Ma semplificare per chi?
Dietro lo storytelling ottimista si nasconde una verità inquietante: centralizzare l’identità digitale significa concentrare potere. Significa potenzialmente essere tracciati in ogni operazione quotidiana, da un acquisto a un consulto medico. E quando ogni interazione è autenticata attraverso un’unica piattaforma statale, chi garantisce che l’accesso non venga condizionato, limitato o addirittura negato?
Ken Macon, analista di Reclaim The Net, lancia l’allarme:
“Il rischio non è solo la sorveglianza, ma la normalizzazione di un sistema obbligatorio in cui non partecipare equivale a essere esclusi dalla società.”
L’esempio del “function creep” – l’espansione silenziosa di un sistema oltre il suo scopo iniziale – non è fantascienza: è già accaduto con tecnologie di sorveglianza, social media e identità biometrica.

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Una svolta obbligatoria, non una scelta
Il progetto pilota citato da Austenaa, che ha mostrato come il Wallet possa autenticare pagamenti in tempo reale, è stato definito “promettente”. Ma la vera preoccupazione di Visa, sorprendentemente, non è la privacy, bensì la lentezza con cui le banche potrebbero adeguarsi.
“Abbiamo bisogno di meno esitazione e più azione”, ha detto Austenaa, come se la rapidità di esecuzione potesse sostituire un dibattito pubblico serio sul tema.
E qui sta il problema. La fretta non è mai amica della trasparenza, soprattutto quando si tratta di sistemi che potrebbero essere utilizzati per monitorare, controllare o condizionare il comportamento degli individui. I portafogli digitali governativi, se mal gestiti, potrebbero diventare strumenti di esclusione sociale, per chi non possiede uno smartphone o rifiuta di aderire a un sistema troppo invasivo.
Più efficienza, meno libertà?
La Commissione Europea parla di “empowerment digitale”. Ma la verità è che senza tutele forti, senza garanzie legali e senza opposizione democratica, un progetto come questo rischia di trasformarsi in un meccanismo perfetto per il controllo sociale.
Il paradosso è evidente: per “facilitare” la vita digitale dei cittadini, l’UE sta costruendo un’identità unica e centralizzata – proprio l’opposto della decentralizzazione e della privacy promesse all’inizio dell’era digitale.
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