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Multe per IPTV, ma zero prove: il caso esplode a Lecce

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In questo articolo condividiamo la replica dell’avvocato difensore di uno degli indagati nell’ambito della maxi operazione della Guardia di Finanza contro la pirateria IPTV. Il legale precisa fin da subito che il procedimento penale è stato aperto nel 2022 per presunti reati risalenti addirittura al 2017. Ma, ad oggi, nessun rinvio a giudizio è stato disposto e nemmeno è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Nessuna centrale, nessun decoder, nessun server pirata.
Al contrario di quanto diffuso da alcune testate, non è mai stata trovata alcuna struttura di smistamento di segnali criptati, né dispositivi di decriptazione, server o flussi pirata. Lo conferma anche il consulente tecnico della Procura, che ha messo a verbale:
«È stata verificata dallo scrivente l’assenza di server per la decodifica dei segnali PayTV nei dispositivi sottoposti a sequestro.»

In pratica, l’intero impianto accusatorio si regge su indizi, non su prove concrete, e le indagini preliminari – terminate lo scorso aprile – non hanno prodotto riscontri oggettivi.

L’ombra dell’IPTV e l’equivoco della legalità

Nel frattempo, l’IPTV è diventata il bersaglio preferito dei media. Ma attenzione: la tecnologia IPTV è legale. Si tratta di un normale sistema di trasmissione audio/video. È l’abuso che può costituire reato, non lo strumento in sé. Eppure, la lotta alla pirateria sta travolgendo anche utenti e operatori totalmente estranei, che utilizzano servizi perfettamente in regola.

Emblematico è il caso del Piracy Shield, il sistema adottato da AGCOM nel 2023. Nonostante le buone intenzioni, ha sollevato dubbi anche tra gli addetti ai lavori. Basti ricordare il clamoroso errore dell’ottobre 2024, quando una segnalazione sbagliata di DAZN ha provocato il blocco di piattaforme legittime come Google Drive e YouTube, creando disagi enormi a livello nazionale.

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Multe da 51€, prove zero

Queste derive hanno prodotto effetti inquietanti anche sul caso in oggetto. Circa 2.300 cittadini sono stati multati con sanzioni da 51€, in alcuni casi con notifica diretta della Guardia di Finanza a domicilio. Molti di loro non hanno mai usato servizi illegali o lo hanno fatto in buona fede, tramite offerte apparentemente legali.

Eppure, nessuno di questi utenti è stato individuato tramite indirizzo IP, non sono stati sequestrati dispositivi, non sono state indicate opere protette violate, né modalità, tempi o luoghi dell’eventuale infrazione.

L’unico elemento a loro carico? Un pagamento elettronico verso una carta prepagata collegata a uno degli indagati. Una prova debole, che potrebbe riferirsi a servizi del tutto leciti.

Ricorsi in arrivo

A fronte di queste anomalie, un avvocato civilista sta promuovendo diversi ricorsi per conto degli utenti colpiti. Si contesta non solo l’assenza di prove, ma anche l’assurdità di sanzionare cittadini in base a un procedimento penale ancora aperto, senza alcuna condanna né contraddittorio giudiziario.

Conclusione? Un sistema pensato per contrastare la pirateria rischia di trasformarsi in una macchina cieca, che punisce anche gli innocenti. E nel dubbio, migliaia di cittadini preferiscono pagare una multa ingiusta piuttosto che sostenere i costi – ben più alti – di un ricorso.

(Avv. Paolo Cantelmo)

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