Ribaltata la decisione sugli ad blocker: la Corte Suprema tedesca riapre il caso

Per anni gli editori hanno provato a fermarli, ma senza successo. Gli ad-blocker sono diventati il rifugio digitale di milioni di utenti stanchi di banner invasivi, pop-up infiniti e tracker che violano la loro privacy. Ora però la battaglia si sposta su un nuovo campo: il diritto d’autore.
La Corte Suprema tedesca (BGH) ha infatti annullato la sentenza del 2023 della Corte d’Appello di Amburgo, che aveva dato ragione a Eyeo GmbH, la società dietro Adblock Plus. Il caso torna così in aula, e l’editore Axel Springer – proprietario di colossi come Bild e Die Welt – ottiene una nuova chance per ribaltare il verdetto.
Perché gli ad-blocker sono diventati “indispensabili”
Se da un lato i media sostengono che il blocco degli annunci mette a rischio il loro modello di business, dall’altro gli utenti vedono negli ad-blocker uno scudo necessario. Non solo contro la pubblicità martellante, ma anche contro il tracciamento ossessivo e i rischi per la sicurezza.
In molti casi, disattivarli equivale a spalancare le porte a un’invasione di spot e spyware. Non sorprende che i navigatori siano restii a farlo.
La strategia di Springer: dal mercato al copyright
Dopo oltre dieci anni di sconfitte legali, Springer cambia approccio. Se il diritto della concorrenza non ha funzionato, ora l’editore punta al copyright.
La sua tesi: i siti web sono “programmi per computer” e come tali meritano la stessa tutela di un software. Secondo Springer, quando Adblock Plus filtra o altera il codice di un sito, violerebbe i diritti esclusivi previsti dal § 69c del Copyright Act.
Eyeo, dal canto suo, liquida l’accusa come “quasi assurda”. E fino a oggi i giudici le hanno dato ragione: nel 2022 e nel 2023 i tribunali hanno respinto le richieste di Springer, stabilendo che non vi fosse alcuna copia né rielaborazione illegittima del software.


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La svolta della Corte Suprema
Con la decisione di annullare la sentenza favorevole a Eyeo, la Corte Suprema non si è schierata apertamente con Springer, ma ha sottolineato che la Corte d’Appello non aveva analizzato fino in fondo alcuni aspetti tecnici fondamentali.
In particolare, è stato evidenziato come il browser possa essere considerato una “macchina virtuale” che esegue il bytecode del sito web. Se bloccare un annuncio equivalesse a modificare quel codice, allora il discorso sul copyright diventerebbe molto più delicato.
Implicazioni enormi per il futuro del web
Se Springer dovesse spuntarla, le conseguenze sarebbero dirompenti. Non solo per gli ad-blocker, ma per tutte le applicazioni web basate su HTML5, CSS, PHP o JavaScript. In pratica, l’intero ecosistema cloud – dai videogiochi ai software gestionali – potrebbe ritrovarsi sotto il cappello del diritto d’autore.
Gli avvocati di Springer parlano di una questione di “democrazia digitale”: secondo loro, senza una tutela forte, il giornalismo online rischia di finire soffocato, costretto dietro a paywall sempre più rigidi. Ma la contro-argomentazione è altrettanto forte: senza ad-blocker, a rischiare è la libertà e la sicurezza degli utenti.
Una partita ancora tutta da giocare
La verità è che questa battaglia va ben oltre la pubblicità online. È uno scontro tra due visioni del web: da un lato quello degli editori, che rivendicano il diritto di monetizzare i contenuti; dall’altro quello degli utenti, che difendono la propria esperienza di navigazione libera e sicura.
La Corte d’Appello di Amburgo dovrà tornare a pronunciarsi. Nel frattempo, la guerra agli ad-blocker resta aperta. E il futuro del web, tra copyright e libertà di scelta, è di nuovo in bilico.
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