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Siti pirata e malware: verità o allarmismo? Cosa dice davvero il report

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Un nuovo rapporto commissionato dall’associazione antipirateria ACE ha acceso i riflettori su un tema che ciclicamente torna a fare notizia: la pirateria online sarebbe un pericolo per la sicurezza informatica dei consumatori, con rischi nettamente superiori rispetto all’uso di piattaforme legali. Secondo i ricercatori della Macquarie University, nel Sud-est asiatico i siti pirata sarebbero fino a 65 volte più esposti a minacce informatiche.

Ma dietro questa cifra così sensazionale si nascondono diverse zone grigie. Ed è proprio lì che inizia il vero dibattito.

Malware, phishing e pubblicità sospette: cosa c’è davvero nei siti pirata?

Non è certo una novità che i siti pirata siano terreno fertile per minacce digitali. Il legame tra download illegale e malware è antico quanto LimeWire, e oggi si è solo evoluto in forme più raffinate. La ricerca ha analizzato 1.200 siti tra i più visitati in Malesia, Indonesia, Vietnam, Thailandia e Singapore, confrontandoli con le piattaforme legali più popolari nelle stesse aree.

Il risultato, almeno in apparenza, è netto: i siti pirata sono molto più rischiosi. Alcune categorie, come i siti P2P o IPTV, risultano in media 30-50 volte più ricche di contenuti pericolosi rispetto ai servizi legittimi. In Indonesia, si arriva a quel famoso moltiplicatore “65x”, riferito ai 30 principali siti peer-to-peer.

Ma attenzione: si parla di rilevamenti di minacce, non di infezioni reali. E la categoria “minaccia” è piuttosto ampia: include anche pubblicità intrusive, spam, link sospetti o software potenzialmente indesiderato. Non sempre si tratta di veri e propri virus o malware.

65 volte più pericolosi… o solo 65 minacce su 30 siti?

Il punto è che la cifra “65 volte” deriva da un’operazione matematica che può facilmente trarre in inganno. Nei siti legali, spesso non ci sono rilevamenti. Per evitare di confrontare con lo zero, i ricercatori hanno utilizzato il valore “1” come riferimento. Così, se in un campione ci sono 65 rilevamenti, il rischio risulta “65 volte maggiore”.
Ma questo non significa che ogni utente ha 65 volte più probabilità di infettarsi.

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Inoltre, il rapporto non distingue tra un sito con molte minacce e uno pulito: basta che uno dei 30 domini analizzati sia compromesso perché il numero totale salga, anche se gli altri 29 sono perfettamente innocui.

Eppure, l’ACE ha scelto di sottolineare il dato più estremo, trasformandolo nel titolo di comunicati stampa e articoli: “I siti pirata infettano 65 volte di più”. Una semplificazione che ha già fatto il giro dei media, alimentando timori legittimi ma non sempre supportati da numeri proporzionati.

La vera domanda: come proteggere gli utenti (senza generalizzare)

Che i siti pirata rappresentino un rischio, è innegabile. Ma generalizzare il concetto in titoli allarmistici rischia di nascondere le reali priorità: non tutti i siti illegali sono un focolaio di virus, e non tutti i servizi legali sono immuni da pubblicità malevole, come rilevato dallo stesso rapporto in alcuni casi in Vietnam.

La soluzione proposta nel documento è l’adozione di sistemi automatici di blocco dei siti ad alto rischio, con filtri gestiti direttamente dai provider di rete in base ai feed in tempo reale provenienti da servizi come VirusTotal o dai CERT nazionali.

Un’idea potenzialmente utile, ma che richiede grande precisione e trasparenza, per evitare che il blocco diventi arbitrario o eccessivamente invasivo.

Conclusione: più consapevolezza, meno semplificazioni

Il problema esiste, ma come spesso accade nel mondo della cybersecurity, la chiave non è il sensazionalismo, bensì l’educazione e l’equilibrio.
I siti pirata espongono gli utenti a rischi concreti — soprattutto per via delle pubblicità aggressive — ma non si può ridurre il tutto a “o Netflix o il malware”.
Serve consapevolezza. E serve anche che chi denuncia i rischi lo faccia senza gonfiare i numeri per spaventare.

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