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Un sensore con microaghi svela in 2 minuti se un pesce è fresco o da buttare

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Capire se un pesce è davvero fresco spesso è una scommessa. Occhi lucidi, branchie rosse e nessun odore strano: sono i segnali che tutti conoscono. Eppure, quando quei segni compaiono è già troppo tardi. La decomposizione è iniziata da ore — in alcuni casi da giorni — e ciò che vediamo è solo la fase finale.
Ora, un team internazionale di scienziati ha deciso di cambiare completamente le regole del gioco: un sensore portatile con microaghi capace di dire in meno di due minuti se un pesce è fresco o da scartare.

Si tratta di una tecnologia che potrebbe rivoluzionare l’intera filiera alimentare, dal pescatore al supermercato, fino alla cucina di casa.
Il dispositivo è stato sviluppato dai ricercatori Nicolas Voelcker, Azadeh Nilghaz e Muamer Dervisevic, che hanno trovato un modo per “leggere” la freschezza del pesce non con gli occhi o con il naso, ma a livello chimico, direttamente dove la decomposizione inizia davvero: sotto la superficie.

Il cuore dell’innovazione è una matrice di microaghi ricoperti da nanoparticelle d’oro e un enzima specifico. È un principio simile a quello dei cerotti medici, ma qui viene impiegato per sondare la carne del pesce, intercettando le prime molecole che indicano deterioramento.

Il composto chiave è la ipoxantina, che si forma subito dopo la morte del pesce quando acidi nucleici e molecole interne cominciano a degradarsi. Più ipoxantina si trova, più il pesce è vecchio. È un indicatore affidabile, usato da anni nei laboratori — ma mai prima d’ora misurato così facilmente, senza strumenti costosi né attese interminabili.

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Il funzionamento è sorprendentemente semplice: si preme il sensore sulla superficie del pesce, i microaghi penetrano appena sotto la pelle e catturano una piccola quantità di fluidi. L’enzima reagisce con la ipoxantina e altera un segnale elettrico che il dispositivo interpreta automaticamente.
In meno di due minuti si ottiene il verdetto.

Durante i test, i ricercatori hanno applicato la tecnologia a filetti di salmone lasciati a temperatura ambiente fino a 48 ore. Il sensore ha rilevato concentrazioni di ipoxantina fino a 500 parti per miliardo, valori tipici del pesce appena pescato e ancora idoneo al consumo.
La precisione si è rivelata paragonabile ai kit da laboratorio, con tempi però centinaia di volte più rapidi.

È un salto enorme rispetto ai metodi tradizionali, basati su valutazioni soggettive.
Occhi, odore e colore dicono qualcosa, ma arrivano sempre tardi.
E affidarsi “al naso” significa rischiare sprechi inutili o, peggio, pericoli per la salute.

L’arrivo sul mercato di questo sensore potrebbe cambiare radicalmente abitudini e controlli. Supermercati, ristoranti, pescherie e persino i consumatori avrebbero finalmente un modo rapido e oggettivo per sapere se un pesce è davvero fresco — senza dover indovinare o fidarsi a scatola chiusa.

Il prototipo è ancora in fase di perfezionamento, ma i ricercatori sono ottimisti: la tecnologia è stabile, funziona e può essere prodotta a basso costo.
In futuro, controllare la qualità del pesce potrebbe diventare semplice come appoggiare il sensore sulla superficie e aspettare un minuto per un responso basato su dati chimici reali.

Siamo davanti a un’innovazione che potrebbe ridurre gli sprechi alimentari, evitare intossicazioni e rendere trasparente un settore in cui troppo spesso contano la fortuna e la fiducia. Questo sensore potrebbe diventare il nuovo standard — e forse la fine del classico “annusa e spera”.

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