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Urgono più chip: il mondo sta affrontando la crisi dei semiconduttori

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Microchip, semiconduttori, processori: i “chip” sono il cervello invisibile della tecnologia moderna. Dallo smartphone al frigorifero, dal computer di bordo di un’auto ai bancomat, ogni dispositivo elettronico ha bisogno di un chip per funzionare. Ma oggi, quei minuscoli rettangoli di silicio grandi quanto un’unghia sono diventati più rari – e preziosi – dell’oro.

Il mondo sta vivendo una delle peggiori crisi di approvvigionamento tecnologico della storia recente, e le conseguenze sono ovunque: prodotti che non arrivano, prezzi alle stelle, industrie ferme.

Un’industria sotto assedio

Rajesh Tuli, CEO di Coral Telecom, società indiana che fornisce apparecchiature a BSNL, Airtel e persino all’esercito, è tra coloro che ne stanno pagando il prezzo. “Non riusciamo a ottenere abbastanza chip per soddisfare i nostri clienti”, spiega. E non è il solo. Secondo Bloomberg, l’attesa per ricevere nuovi chip può arrivare fino a 21 settimane – il tempo di attesa più lungo dal 2017.

Effetti a catena su tutto il mercato

Il blocco non riguarda solo l’elettronica. Il settore automobilistico globale potrebbe perdere 110 miliardi di dollari a causa dei ritardi, e anche colossi come Maruti Suzuki e Reliance Jio hanno già tagliato produzione e piani di espansione. Le automobili moderne contengono dai 50 ai 150 chip, ma quelle elettriche possono arrivare a 3.000: ogni sensore, airbag, funzione smart ha bisogno di un chip per operare.

Nel frattempo, i prezzi salgono ovunque. In India, ad esempio, i laptop sono aumentati del 2-3% ogni mese, e smartphone come il Redmi Note 10 hanno subito ben cinque rincari da marzo 2021.

Una crisi causata da più fattori

La pandemia di Covid-19 ha avuto un effetto devastante sulla produzione, ma non è l’unico colpevole. Incendi in stabilimenti chiave in Giappone, la carenza globale di contenitori per il trasporto marittimo, il boom della domanda post-pandemia e persino scelte strategiche sbagliate da parte dei produttori hanno contribuito a creare un effetto domino.

Le grandi aziende, con risorse enormi, hanno fatto incetta di chip, lasciando le piccole imprese (come Coral Telecom) a mani vuote. I produttori, poi, danno la precedenza agli ordini più redditizi – spesso legati a dispositivi elettronici più complessi – penalizzando settori come l’auto che utilizzano chip più semplici.

Una corsa geopolitica per il controllo dei chip

Il controllo dei semiconduttori è diventato una questione strategica globale. Gli Stati Uniti dominano la progettazione, ma Taiwan e Corea del Sud sono i leader mondiali nella produzione. Un rischio che Washington non vuole più correre: per questo ha stanziato 50 miliardi di dollari per rafforzare la produzione interna.

Anche l’India prova a recuperare terreno con incentivi e piani per costruire nuove fabbriche, ma la strada è lunga: il Paese è ancora agli inizi nello sviluppo di un’industria dei chip autosufficiente.

Cosa aspettarsi nei prossimi mesi?

Non tutte le notizie sono negative. Secondo IDC, la situazione potrebbe migliorare nel mercato degli smartphone entro nove mesi. Ma per TV, laptop e auto, la crisi è destinata a durare. E la carenza di silicio – la materia prima per chip e display – peggiora lo scenario.

Nel frattempo, chi guida un’auto con più funzioni smart, acquista un computer o aspetta una nuova console da gaming… dovrà armarsi di pazienza e mettere mano al portafogli.

Un futuro a rischio?

I chip sono dappertutto. Ma proprio per questo, la loro assenza ci ricorda una verità scomoda: l’economia digitale mondiale è costruita su una tecnologia fragile, concentrata in poche mani e vulnerabile a ogni crisi globale. E finché non si diversificheranno produzione, rotte logistiche e approvvigionamento, basterà un incendio, un blocco navale o un virus per mettere in ginocchio l’intero sistema.

Benvenuti nell’era dei microchip… dove il più piccolo pezzo può bloccare il mondo intero.

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