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Zuckerberg ammette pressioni per censurare contenuti durante il COVID

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In una lettera ufficiale al presidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati statunitense, Mark Zuckerberg ammette che l’amministrazione Biden-Harris ha fatto pressioni per censurare diversi contenuti ai tempi del COVID. La lettera, svelata dal @JudiciaryGOP, ha suscitato scalpore e riacceso il dibattito sulla libertà di espressione online.

Zuckerberg riconosce di aver ceduto in più di un’occasione alle pressioni dell’amministrazione, privando così i cittadini statunitensi del diritto costituzionale a un’informazione libera e trasparente. In particolare, ammette di aver impedito la diffusione della notizia del computer del figlio di Biden, Hunter, pubblicata dal New York Post pochi giorni prima delle presidenziali del 2020. La notizia, poi rivelatasi vera, era stata censurata da Meta su richiesta dell’FBI, che la considerava disinformazione russa.

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Zuckerberg ha espresso rammarico per quanto accaduto e ha dichiarato di aver cambiato le regole sui fact checkers, che in precedenza erano utilizzati per giustificare la censura. Tuttavia, la gravità della sua ammissione resta inaudita.

L’ammissione di Zuckerberg si inserisce in un contesto più ampio di preoccupazione per la libertà di opinione nelle democrazie occidentali. Il Digital service Act in vigore nell’Unione Europea, insieme ad altri recenti episodi di censura, alimenta il timore che questo diritto fondamentale sia minacciato.

Marcello Foa: “La libertà di opinione è in pericolo”

Il giornalista Marcello Foa, in un articolo pubblicato su X, rilancia l’allarme sulla libertà di opinione. Foa sottolinea come l’ammissione di Zuckerberg sia un campanello d’allarme e che è necessario difendere questo diritto fondamentale.

Conclusione

L’ammissione di Zuckerberg ha scosso l’opinione pubblica e riacceso il dibattito sulla libertà di espressione online. La censura dei contenuti durante il COVID e il timore di un controllo sempre più stretto da parte delle autorità sui social network destano preoccupazione per il futuro della libertà di opinione nelle democrazie occidentali.

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