Belgio contro la pirateria IPTV: multe record e DNS costretti a fuggire

Ad aprile, il Belgio ha lanciato un attacco senza precedenti alla pirateria IPTV. Un’ordinanza ottenuta da DAZN e 12th Player ha imposto ai provider DNS di bloccare oltre 100 siti di streaming illegali, sotto la minaccia di una multa di 100.000 euro al giorno per ogni violazione. Una misura drastica, descritta dai media locali come “il primo blocco del suo genere”, che ha già avuto effetti immediati: OpenDNS ha lasciato il Belgio, proprio come aveva già fatto in Francia e Portogallo.
Il provvedimento è stato definito da DAZN come “un vero passo avanti” nella lotta alla pirateria, ma molti osservatori si chiedono se non sia più una strategia di comunicazione che un cambiamento strutturale.
Il blocco DNS diventa arma chiave
La nuova ordinanza – depositata il 25 marzo 2025 presso il tribunale di Bruxelles – va oltre i classici blocchi applicati agli ISP. Oltre ai provider locali (VOO, Orange, Proximus, Telenet e DIGI), la Corte ha incluso nella lista anche Cloudflare, Google e Cisco/OpenDNS, ordinando loro di bloccare l’accesso a tutti i domini incriminati. Le opposizioni presentate da questi colossi tecnologici sono state respinte in toto.

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Un modello replicabile in tutta Europa?
In passato, blocchi simili sono stati emessi in Italia e Francia, ma la loro applicazione ai DNS rimane un terreno relativamente nuovo. Ora che anche il Belgio ha adottato misure così incisive, è probabile che altri Stati europei seguano la stessa strada.
La grande novità dell’ordinanza belga è il cosiddetto blocco dinamico: oltre ai siti già noti, saranno oscurati anche tutti i domini alternativi, mirror o redirect che proveranno ad aggirare i divieti. Questo approccio rende il blocco molto più efficace nel tempo, aggiornandosi automaticamente in base ai nuovi siti che spuntano.
Il blocco “per aspetto”: un’arma anti-clone
Un’altra novità interessante è il blocco dei siti basato sul marchio o sull’aspetto visivo. In pratica, se un sito pirata copia logo, nome o layout di uno già bloccato, verrà automaticamente incluso nella black list, anche se ha un dominio diverso. Un meccanismo già usato nel Regno Unito e in Australia, ma finora poco esplorato in Europa continentale.
Libertà digitali e contrappesi
La Corte ha motivato la sua decisione sostenendo che:
- gli utenti possono accedere legalmente ai contenuti tramite canali ufficiali;
- i siti target violano sistematicamente i diritti d’autore;
- le misure di blocco sono proporzionate ed efficaci;
- l’impatto sarà limitato a chi effettivamente accede ai contenuti illegali.
Avvisi di blocco e… nomi bizzarri
Chi prova ad accedere ai siti bloccati viene reindirizzato a una pagina informativa del governo belga. O almeno, così dovrebbe essere. In realtà, a causa di un problema con i certificati HTTPS, molti utenti vedono un avviso di sicurezza del browser che segnala un sito potenzialmente pericoloso. Un’ironia scomoda, se si considera che si tratta di un’iniziativa statale.
Chi riesce a bypassare l’avviso scopre che il server ha un nome curioso: “super-star-destroyer”. Uno scherzo interno? O un modo creativo per farsi notare? Non è dato saperlo. Ma se l’obiettivo era attirare l’attenzione, c’è sicuramente riuscito.
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