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I Fact Checker di Facebook sarebbero finanziati da TikTok

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Secondo un’inchiesta del sito The Epoch Times, la tanto sbandierata “verifica dei fatti” di Facebook sarebbe tutto tranne che imparziale. Alcuni dei principali fact-checker della piattaforma – quelli che decidono cosa è vero e cosa no – sono finanziati direttamente da TikTok, l’app cinese al centro di continue indagini per minacce alla sicurezza nazionale.

Uno dei più attivi, Lead Stories, ha apertamente ammesso di ricevere fondi da ByteDance, la società madre di TikTok, per attività di fact-checking. Ironico, vero? Gli stessi “guardiani della verità” che oscurano contenuti su Facebook collaborano con una delle app più sospette e controllate al mondo, direttamente collegata al Partito Comunista Cinese.

E non finisce qui: la supervisione sui fact-checker è affidata all’International Fact-Checking Network (IFCN), gestita dal Poynter Institute, anch’esso partner di TikTok. In pratica, i controllori sono controllati dagli stessi soggetti che dovrebbero essere sorvegliati.

La censura travestita da “lotta alla disinformazione”

Lead Stories è nata nel 2015 ma ha visto la sua crescita esplodere solo dopo l’intervento di Facebook: oltre 460.000 dollari versati in due anni per “servizi di verifica”. La squadra oggi conta più di una dozzina di dipendenti, molti dei quali ex CNN. E ora, oltre a Facebook e Google, l’elenco dei finanziatori include anche ByteDance.

Quando la pandemia è scoppiata, Lead Stories si è fiondata nel ruolo di censore, etichettando come “false” numerose notizie scomode, in particolare tutte quelle che criticavano la Cina e il suo ruolo nella diffusione del virus. Guarda caso, proprio il tipo di contenuti che TikTok non vuole vedere circolare.

Il paradosso dei social occidentali che lavorano per la Cina

Nel 2019, The Guardian ha rivelato che TikTok censurava sistematicamente contenuti sul massacro di Piazza Tienanmen, sul movimento spirituale Falun Gong e sui diritti umani in Xinjiang. Ma la censura non si ferma alla Cina: TikTok ha sospeso l’account di un’adolescente americana che criticava Pechino e ha cancellato video satirici sull’inno cinese.

Questa è l’azienda che ora paga i fact-checker di Facebook, la stessa piattaforma che blocca contenuti sgraditi sull’efficacia dei vaccini, sulle elezioni americane e sulla gestione della pandemia.

La maschera dei “verificatori”

I fact-checker decidono autonomamente quali post sottoporre a “verifica” e possono segnalarli come falsi anche in assenza di prove concrete. Una volta contrassegnato, il contenuto viene nascosto e raggiunge una fetta minima del pubblico. Chi contesta il verdetto deve rivolgersi direttamente a loro, che ovviamente non annullano quasi mai i propri giudizi.

I legami tossici dell’IFCN

L’IFCN è finanziata da Google, Facebook, ByteDance, Pierre Omidyar (fondatore di eBay e noto donatore democratico) e George Soros. Gli stessi nomi ricorrono ovunque quando si parla di censura, controllo dell’informazione e manipolazione dell’opinione pubblica.

Nel board dell’IFCN siedono giornalisti di Washington Post e PolitiFact, due testate dichiaratamente anti-Trump e ultra progressiste. E sono loro che decidono chi può avere la “certificazione” di fact-checker.

Il mio parere (e quello di molti altri)

Facebook non è un social: è un ministero della verità digitale. In pochi anni ha bannato chiunque osasse mettere in dubbio le narrazioni ufficiali: dai vaccini alle elezioni, dalla pandemia al conflitto russo-ucraino. Personalmente ho perso cinque account per aver condiviso notizie considerate “complottiste”. E non parlo del vaccino Covid, ma di quello ai bambini degli anni ’90.

Chi critica viene punito. Chi esce dal coro viene oscurato. Non solo Facebook: anche Twitter, YouTube, Instagram e Google. Le testimonianze si moltiplicano: pagine chiuse, siti spariti, account sospesi. E sempre con la stessa scusa: la disinformazione.

Ma se i fact-checker sono pagati da TikTok, chi garantisce che non siano proprio loro a diffondere la disinformazione per conto del regime cinese?

La verità è che non puoi più parlare liberamente online se non all’interno delle gabbie ideologiche imposte da queste multinazionali. Vuoi usare i social? Accetta la dittatura digitale. O sparisci.

E questo, cari lettori, non ha più nulla a che fare con la libertà d’espressione.

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Dite la vostra!

Che ne pensate di questo articolo? Anche voi siete stati vittime di censura da parte di Faceboo o altri social network? Fateci sapere cosa ne pensate lasciando un commento nell’apposita sezione che trovate più in basso.

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