iRobot in bancarotta: il crollo di Roomba e il passaggio di mano alla Cina dopo il no ad Amazon

È una di quelle notizie che segnano la fine di un’epoca tecnologica. iRobot, l’azienda che ha portato i robot aspirapolvere nelle case di mezzo mondo con il marchio Roomba, ha ufficialmente dichiarato bancarotta. Domenica 14 dicembre la società ha presentato istanza di protezione dal fallimento ai sensi del Chapter 11, aprendo la strada a un epilogo che fino a pochi anni fa sembrava impensabile.
Da simbolo dell’innovazione americana a marchio assorbito dal proprio produttore cinese. E tutto questo dopo il clamoroso fallimento dell’accordo da 1,7 miliardi di dollari con Amazon, che avrebbe potuto cambiare il destino dell’azienda.
Da orgoglio del MIT al tracollo finanziario
Fondata nel 1990 da ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (MIT), iRobot nasce con ambizioni altissime: robotica per la difesa, applicazioni spaziali, tecnologie avanzate. La svolta arriva nel 2002, quando il primo Roomba trasforma la pulizia domestica in un’esperienza automatizzata e futuristica.
Per anni il marchio diventa sinonimo stesso di “robot aspirapolvere”, raggiungendo una valutazione di 3,56 miliardi di dollari. Poi qualcosa si rompe.
Debiti, concorrenza cinese e l’accordo saltato con Amazon
Dietro il fallimento c’è una combinazione micidiale. I documenti del tribunale del Delaware parlano chiaro: debiti compresi tra 100 e 500 milioni di dollari, di cui 190 milioni legati a un prestito acceso nel 2023 proprio mentre iRobot cercava di sopravvivere grazie all’acquisizione da parte di Amazon.
Ma l’operazione viene bloccata dalle autorità antitrust europee, lasciando iRobot senza la tanto attesa ancora di salvezza finanziaria. Da quel momento, la caduta accelera.
Nel frattempo, il mercato viene inondato da concorrenti cinesi a basso costo come Ecovacs, Roborock e Dreame, capaci di offrire prodotti sempre più evoluti a prezzi inferiori. iRobot prova a reagire investendo in intelligenza artificiale e software, ma i margini si assottigliano fino quasi a scomparire.
Il colpo finale: tariffe e costi fuori controllo
A peggiorare la situazione arrivano anche le tariffe statunitensi. Una tassa del 46% sulle importazioni dal Vietnam, dove viene assemblata gran parte dei Roomba, provoca nel 2025 un aumento di 23 milioni di dollari di costi imprevisti.
Invece di scaricarli sui consumatori, iRobot li assorbe. Una scelta che tutela il brand nel breve periodo, ma che divora la redditività nel lungo termine.
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Il passaggio di mano: iRobot diventa cinese
Nel piano di ristrutturazione approvato dal tribunale, il produttore cinese Shenzhen Picea Robotics, già partner industriale chiave, acquisirà il controllo totale di iRobot. L’operazione cancella 264 milioni di dollari di debiti, incluse le fatture di produzione non pagate, e dovrebbe concludersi entro febbraio 2026.
Formalmente, iRobot continuerà a operare come azienda privata. Nella sostanza, però, gli azionisti vengono azzerati e il marchio passa sotto controllo straniero.
Sicurezza nazionale e dati domestici: le ombre sull’acquisizione
Ed è qui che iniziano le polemiche. Diversi analisti e società di risk intelligence, tra cui Sayari, segnalano potenziali criticità nella catena di fornitura di Picea Robotics, inclusi presunti legami con aziende associate a rischio di lavoro forzato.
Ma la preoccupazione più grande riguarda i dati. Roomba non è solo un aspirapolvere: è un dispositivo smart che mappa le abitazioni, raccoglie informazioni sugli ambienti domestici e si integra con l’ecosistema della casa intelligente. L’idea che questi dati possano finire sotto controllo cinese alimenta timori politici e strategici negli Stati Uniti.
Secondo BrightU.AI’s Enoch, l’acquisizione di aziende tecnologiche americane da parte di entità cinesi rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale, soprattutto quando coinvolge settori critici e infrastrutture digitali domestiche.
Fine di un’icona americana
iRobot rassicura i clienti: app, assistenza e aggiornamenti continueranno a funzionare. Ma per gli investitori la storia è finita nel modo peggiore possibile. Le azioni hanno perso oltre l’80% del valore nel pre-market, lasciando migliaia di piccoli azionisti con un pugno di mosche.
Il CEO Gary Cohen definisce l’accordo una “pietra miliare fondamentale” per garantire continuità ai consumatori. Eppure, il senso di sconfitta resta. Se l’operazione con Amazon fosse andata in porto, iRobot probabilmente non sarebbe arrivata a questo punto.
Invece, il marchio entra ora nella lista crescente di icone tecnologiche statunitensi finite sotto controllo straniero, vittime di concorrenza globale, regolamentazione aggressiva e scelte industriali difficili.
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