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LaLiga raddoppia i blocchi antipirateria: ma a pagare sono utenti e aziende innocenti

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Negli ultimi tre mesi, LaLiga e gli ISP spagnoli hanno dato vita a una delle campagne antipirateria più aggressive d’Europa, bloccando interi blocchi di indirizzi IP per arginare lo streaming illegale delle partite. Il problema? A farne le spese sono anche aziende legittime e utenti del tutto innocenti, che si trovano tagliati fuori dai loro servizi online senza preavviso.

Twitch, Cloudflare e GitHub tra i “danni collaterali”

Nel mirino dei blocchi non ci sono solo i siti pirata, ma anche piattaforme globali come Twitch, Cloudflare, Vercel, GitHub e Amazon. Solo nell’ultima ondata, decine di indirizzi IP condivisi da servizi del tutto legittimi sono stati oscurati per errore, con gravi conseguenze economiche per startup e aziende digitali spagnole.

La situazione è esplosa dopo l’ultimo incontro dell’EUIPO ad Alicante, e una visita a Madrid dello stesso Ufficio per la Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea, che sembra aver dato ulteriore legittimità alla crociata di LaLiga.

Il paradosso: bloccare tutto per proteggere lo sport

Secondo l’ordinanza del tribunale ottenuta da LaLiga e Telefónica, gli ISP devono impedire l’accesso a streaming sportivi pirata bloccando interi intervalli di indirizzi IP. Tuttavia, quegli stessi IP sono condivisi da migliaia di utenti e aziende legittime, che nulla hanno a che fare con la pirateria.

E mentre i media spagnoli ignorano il problema, hayahora.futbol, una piattaforma indipendente, ha documentato minuziosamente ogni blocco, rivelando l’impatto reale dell’operazione. In particolare, Cloudflare ha subito il colpo più duro, ma anche Vercel – nonostante abbia promesso collaborazione – risulta ancora bloccata da alcuni provider.

Un blackout silenzioso, ma dannoso

In una Spagna già colpita da blackout energetici, i blackout digitali intenzionali sembrano non fare notizia. Ma per chi vive di web, i danni sono reali: siti irraggiungibili, utenti confusi, perdite economiche, tutto in nome della lotta alla pirateria.

“Siamo passati da un problema tecnico a un problema politico”, afferma Sergio Conde, ingegnere di sistema presso Tiny Bird Co., azienda colpita dai blocchi.

LaLiga giustifica i blocchi come strumento di difesa del calcio spagnolo, ma la mancanza di trasparenza e proporzionalità solleva interrogativi sulla legalità e l’etica dell’intera operazione.

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Pirateria in aumento: i numeri dell’UE preoccupano

Durante una conferenza a Madrid, l’EUIPO ha confermato ciò che molti temevano: la pirateria in Spagna è di nuovo in crescita, più che in altri Paesi europei. Circa il 21% degli utenti ammette di consumare contenuti pirata, mentre un irriducibile 6% lo fa regolarmente, senza rimorsi.

Questi dati, sommati all’inerzia legislativa, hanno portato LaLiga a forzare la mano con metodi radicali. Ma a distanza di mesi, il bilancio è incerto: i contenuti illegali continuano a circolare, mentre le aziende legittime restano danneggiate.

Nessuna tutela per le vittime collaterali

Nonostante la presenza dell’UE ai tavoli di discussione, nessuna voce si è levata a difesa delle imprese e dei cittadini danneggiati. I comunicati ufficiali si concentrano solo sulla tutela dei diritti sportivi, ignorando completamente l’impatto sul tessuto digitale europeo.

E se da un lato si parla del Digital Services Act come di una grande conquista, dall’altro non c’è alcuna garanzia concreta che i blocchi futuri saranno più mirati o giustificati.

Una strategia miope o l’inizio di qualcosa di più grande?

L’azione di LaLiga sembra più un gesto dimostrativo che una soluzione sostenibile. Bloccare tutto e tutti per colpire i pirati è un’arma a doppio taglio. E a giudicare dagli sviluppi più recenti, la guerra è appena cominciata.

Mentre le partite proseguono, le aziende cadono silenziosamente, e l’Europa – spettatrice involontaria – assiste a un conflitto che non ha ancora trovato il suo equilibrio tra diritto d’autore e libertà digitale.

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