Quando il DNA parla di natura: l’uso dei dati genetici nella ricerca sulla biodiversità
Il DNA è una storia registrata di tutta la vita sulla Terra.
La biodiversità che vediamo intorno a noi è il prodotto di milioni di anni di evoluzione sulla terra. Per capire come gli animali e le piante si sono evoluti o sono venuti a esistere su questo pianeta, si possono utilizzare le molecole di acido desossiribonucleico (DNA) presenti nelle cellule della maggior parte degli organismi viventi. Il DNA fornisce istruzioni biologiche che vengono ereditate da una generazione all’altra, noto anche come “il processo di discesa con modificazione”.
La capacità di utilizzare questa registrazione della storia memorizzata nel DNA è una parte essenziale del kit di strumenti di un biologo. Ci permette di comprendere l’albero della vita: l’origine delle specie, il processo di formazione delle specie, l’evoluzione della forma e della funzione, le relazioni tra gli organismi e la loro risposta (adattamenti evolutivi) ai cambiamenti ambientali.
Alcune mutazioni nei geni, cambiamenti nelle sequenze di DNA, possono tradursi in cambiamenti nelle proteine che codificano, dando origine a varianti note come allozimi per proteine enzimatiche. Negli anni ’70, i ricercatori hanno utilizzato l’analisi allozima, in grado di rilevare varianti proteiche utilizzando la loro carica elettrica, come proxy per studiare la variazione genetica.
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Negli anni ’80, oltre un migliaio di specie animali erano state sottoposte a screening presso decine di loci allozimatici, il che consentiva confronti tra diversi gruppi. Uno studio ha scoperto che i ghepardi in Sud Africa avevano una variazione genetica molto bassa a causa di una drastica riduzione delle dimensioni della loro popolazione nella storia recente. Questa perdita di individui e la conseguente consanguineità tra parenti stretti hanno contribuito alla loro bassa diversità genetica.
Lo sviluppo del sequenziamento di Sanger alla fine degli anni ’70 e la reazione a catena della polimerasi (PCR) a metà degli anni ’80 hanno rivoluzionato la biologia molecolare permettendoci di creare copie del DNA da piccole quantità di campioni e determinando la sequenza delle unità che formano la sequenza del DNA.
L’utilizzo di queste tecniche per generare sequenze di DNA tra più individui e specie ha consentito agli scienziati di visualizzare direttamente il materiale genetico, rilevare le mutazioni e quindi misurare la variazione genetica.
In uno dei primi studi che utilizzavano dati sulla sequenza del DNA, i ricercatori hanno confrontato un singolo gene tra le specie per costruire un albero evolutivo che classifica gli organismi viventi in tre ampi gruppi. Da allora, più geni e sequenze di DNA non codificanti proteine sono stati combinati e analizzati per stabilire relazioni tra le specie. Ad esempio, un grande albero evolutivo globale di piante da fiore ci ha aiutato a comprendere le caratteristiche che hanno aiutato alcuni gruppi ad espandersi attraverso nuovi ambienti.
I dati sulla sequenza del DNA sono stati particolarmente utili nell’identificazione di specie morfologicamente criptiche, che non possono essere differenziate in base al loro aspetto esterno.
Oltre a comprendere le relazioni evolutive tra specie diverse, le sequenze di DNA vengono utilizzate anche per capire come la variazione genetica è geograficamente distribuita all’interno di una specie o specie strettamente correlate. A partire dagli anni ’70 e ’80, i geni ereditati dalla madre sono stati ampiamente utilizzati in tali studi. Hanno rivelato, ad esempio, che le popolazioni di diverse specie marine divergevano tra gli oceani Atlantico e Pacifico con la chiusura dell’istmo di Panama.
Tali marcatori legati al sesso sono stati utilizzati anche per studiare la struttura sociale degli animali, dove hanno dimostrato che le megattere femmine seguono rotte migratorie specifiche nel corso delle generazioni che sono diverse nei bacini oceanici. Oltre a utilizzare sequenze geniche, regioni del DNA non codificanti proteine come i microsatelliti sono state ampiamente utilizzate per comprendere le relazioni tra gli individui all’interno di una specie.
Un recente studio ha esaminato gli effetti della frammentazione della foresta sulla connettività genetica di quattro mammiferi nell’India centrale utilizzando DNA ottenuto da campioni fecali. I dati dei microsatelliti hanno rilevato che i fattori antropogenici hanno avuto impatti variabili sulle specie a seconda della loro biologia, con il maggiore impatto sulle tigri, seguite da leopardi, orsi bradipi e gatti della giungla.
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I rapidi progressi nella tecnologia di sequenziamento ora ci consentono di andare oltre il sequenziamento dei geni per sequenziare grandi tratti di DNA attraverso l’intero materiale genetico di un organismo. Questi approcci genomici utilizzano il sequenziamento parallelo per generare centinaia di gigabasi di dati di sequenze di DNA, che comportano sfide analitiche legate all’elevata potenza di calcolo e sofisticati modelli matematici.
Molte di queste tecniche possono anche utilizzare tracce di DNA dall’ambiente naturale, il che consente ai ricercatori di esaminare rapidamente la biodiversità di regioni e taxa scarsamente studiati. Ad esempio, migliaia di sequenze di DNA da campioni di suolo hanno consentito agli scienziati di stimare la diversità degli invertebrati di un’isola remota della Nuova Zelanda.
I dati sul genoma ad alta risoluzione possono aiutare i ricercatori a distinguere le specie strettamente correlate quando i marcatori genetici tradizionali falliscono, come è stato fatto nei pesci ciclidi nel lago Vittoria, in Africa. I progressi tecnologici hanno anche consentito ai ricercatori di utilizzare DNA di scarsa qualità, come nel caso dei gorilla di pianura orientale, dove i vecchi esemplari del museo hanno aiutato gli scienziati a comprendere gli effetti genetici del grave declino della popolazione nella storia recente.
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