È successo davvero: Piracy Shield sta censurando siti innocenti
Piracy Shield, nata con il nobile intento di bloccare la pirateria, rischia di diventare una versione italiana del Great Firewall cinese.
Nei giorni scorsi, qualcuno ha pensato bene di aprire sulla piattaforma un po’ di ticket per bloccare alcune piattaforme web che trasmettevano film. Non sappiamo quali siano le piattaforme che hanno scatenato il blocco, ma sappiamo che probabilmente alcune di queste venivano distribuite da una nota CDN partner di Cloudflare, Zenlayer.
Una decina di indirizzi IP appartenenti alla CDN di Zenlayer sono così finiti tra i blocchi e questo ha causato quindi il blocco di tutti i servizi e i siti assolutamente leciti che venivano distribuiti dalla stessa CDN. Cloud4c, un provider cloud, è irraggiungibile dall’Italia e lo stesso vale per il pannello di controllo della cdn stessa, anche lui bloccato. Dall’estero sono visibili senza problemi.
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Un danno collaterale marginale, sono siti di nicchia, che ha un però significato enorme e ci porta a chiederci quando arriverà il primo errore serio che porterà al blocco di un servizio essenziale. Chi pagherà in quel caso? Come verranno gestite le cause legali che sicuramente pioveranno sui provider da parte dei clienti che si vedono un servizio bloccato?
La questione è seria, anche perché bastava una piccola ricerca per rendersi conto che gli IP per i quali si stava chiedendo il blocco erano di una CDN: o chi ha chiesto i blocchi non ha la minima idea di quello che stava facendo oppure si è disinteressato, pur di raggiungere il suo obiettivo, di quelle che potevano essere le conseguenze.
Incidenti come questo, che è il primo e non sarà (purtroppo) l’ultimo, fanno riflettere sulla strategia messa in atto dall’Italia per combattere la pirateria.
Mentre sul Play Store esistono applicazioni che fanno vedere gratis le partite nell’indifferenza generale, e mentre basta Google per trovare un sito che trasmette una partita gratis illegalmente, è stato strutturato un sistema che vuole andare a colpire in modo mirato, ed è giusto, quella nicchia di pirateria che si appoggia alle IPTV, il “pezzotto“.
La pirateria a pagamento, quella che finanzia le organizzazioni criminali ma anche quella che ormai si è tecnologicamente strutturata come un vero servizio di streaming, grazie agli introiti della attività illecita. Queste organizzazioni possono anche permettersi di pagare CDN per distribuire i contenuti e prendono i flussi diretti dei provider decodificandoli, elementi che rendono di fatto l’arma di Agcom più debole: se blocchi i flussi dei provider nessuno vede più le partite, se blocchi le CDN colpisci anche gli innocenti.
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Se vuole combattere questo tipo di pirateria Agcom deve chiedere probabilmente aiuto a “pirati pentiti”, ma soprattutto deve allontanare gli utenti da queste piattaforme: può farlo solo con sanzioni esemplari.
Negli ultimi 5 anni sono state eseguite decine e decine di perquisizioni e arresti nell’ambito delle operazioni contro la IPTV, e in tanti casi sono stati anche identificati i clienti finali. Eppure, ci dice una fonte che ha lavorato per anni dalla parte dei buoni, le multe pagate sono veramente pochi e alla maggior parte degli utilizzatori delle IPTV, anche se colti in flagrante, non è successo nulla. La legge prevede multe fino a 5.000 euro per chi guarda materiale pirata, e siamo certi che un migliaio di multe sarebbero più efficaci di Piracy Shield.
Il problema principale si trova nel fatto che Piracy Shield sembra applicare una censura rigida senza alcuna considerazione per i siti web legittimi, che si trovano improvvisamente bloccati o rimossi dalla lista dei risultati dei motori di ricerca. Questo fenomeno, noto come “falso positivo”, è un grave danno per le imprese e gli utenti che non sono coinvolti in attività illegali.
La questione diventa ancora più preoccupante quando si considera che Piracy Shield sta prendendo di mira anche siti web che offrono contenuti legali, come informazioni utili, servizi o prodotti. Questa estensione indiscriminata della censura minaccia la libertà di espressione e l’accesso all’informazione.
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